Contro l’ironia

Qui da noi, per avere a 25 anni critiche ed applausi, per essere al centro di discussioni, di amori e di odi, per avere a 25 anni la tua foto sulle riviste ed essere interrogato su tutte le materie dello scibile umano, qui da noi devi essere o un giocatore di calcio o una popstar per adolescenti. Meccanismi divistici importati dagli americani, diciamo. Tutto vero. Fatto sta che in America c’è un giovane di 25 anni originario del West Virginia che fa discutere e divide, che suscita lodi e disprezzo, che finisce col suo bel viso angelico sulle riviste, e a cui viene chiesto di tutto, e tutto quel che ha fatto è stato di scrivere un libro, un libro con una tesi. La tesi di Jedediah Purdy è che la società americana contemporanea è stata rovinata, è stata frustrata nelle sue più alte aspirazioni, è stata immeschinita nei suoi migliori desideri. E la tesi di Jedediah Purdy è che il responsabile di questo sfacelo morale sia quell’atteggiamento, quell’abitudine, quella cultura, che chiamiamo ironia. Che il disincanto, il cinismo, l’autoconsapevolezza abbiano infiltrato a tal punto i nostri comportamenti da svuotarci da sogni, emozioni e valori, da immiserire vite e aspirazioni.
Ma andiamo con ordine. Per capire cosa voglio dire, scrive Jedediah, bisogna sapere chi sono e come sono arrivato a pensarlo. Jedediah è stato cresciuto in una fattoria del West Virginia da una coppia di americani che aveva scelto di credere nella propria capacità di costruirsi una vita e qualcosa. Di dare un’istruzione ai figli basata sul rapporto con la terra e con la famiglia, un’istruzione fatta di valori antichi, anacronistici al mondo intorno, ma non retrograda né povera. Jedediah leggeva e studiava e frequentava un ambiente contadino ma istruito e pieno di fede in se stesso. Quando si iscrisse per la prima volta a scuola, a tredici anni, questo ragazzo colto e intelligente si trovò all’improvviso tra i suoi coetanei prodotti da una tipica società occidentale contemporanea. La sua ingenua fiducia nelle sue speranze, nel significato concreto delle cose, nella sincerità delle espressioni, andò a sbattere con un gran botto contro i codici, i linguaggi, gli artifici, del grande clan dei giovani di questa fine millennio. Da allora cominciò a pensarci su, e continuò a pensarci al college e all’università, dove riuscì a trovare ambienti ancora adatti a discutere le cose per come sono.
Cosa ha pensato Jedediah Purdy? Lo spiega chiaramente nel primo capitolo del libro, in cui riconosce che l’infiltrazione dell’ironia nei nostri meccanismi di comportamento ha delle ragioni logiche. Abbiamo visto tutto, letto tutto, provato tutto. Non c’è niente che non ci abbia già raggiunti sotto forma di messaggio pubblicitario, show televisivo, iconografia giornalistica. Non possiamo più godere istintivamente dello spettacolo del Gran Canyon senza che ci raggiunga subito il senso di ripetizione di centinaia di spot e film. Seconda cosa, dice Jedediah, la delusione delle speranze politiche e civili seguita al progressivo smascheramento dei meccanismi e dei fallimenti della pratica politica, ci ha resi cinici e incapaci di sostenere valori che temiamo di vedere umiliati. Proprio la paura dell’umiliazione, e del fallimento ci trattiene dall’esprimere appassionatamente e sinceramente le speranze e i desideri che non abbiamo smesso di avere dentro, e che celiamo con un’ostentazione continua di ironia e cinismo. Nascosta dietro un alibi mendace di intelligenza e conoscenza del mondo di cui Purdy cita alcuni campioni nella società americana: gli show di David Letterman e Jerry Seinfield, la rivista Wired.
La conseguenza, conclude Jedediah, è che le cose più belle che i nostri cuori e le nostre menti sono capaci di esprimere restano sepolte sotto strati di insincerità, e le cose più belle che sapremmo e vorremmo fare andando dietro ai nostri cuori e alle nostre menti, muoiono prima di nascere, non nascono più, lasciano i nostri desideri più profondi irrealizzati. Pensate a scrivere una lettera d’amore, spiega Jedediah: un vostro desiderio supremo e meraviglioso in cui scegliete di rischiare il fallimento e l’umiliazione in cambio della chance di realizzarlo. Se si applicasse la cultura dell’ironia alle lettere d’amore, non le si scriverebbero più, non si direbbero più frasi d’amore, le si infarcirebbe di battute che le disinneschino, che ci facciano sembrare distanti e disincantati, cinici. Questo mio libro, rischia Jedediah, è una lettera d’amore: rischio l’umiliazione per la speranza che qualcuno risponda.
Con un anticipo all’autore di 75 mila dollari, il libro (For Common Things, Knopf) è stato pubblicato qualche settimana fa, e forte di un gran battage che non si è fatto mancare il caso del giovane sognatore di bell’aspetto e grande cultura (Purdy cita Montaigne e Mann, Max Weber e Adam Michnik) ha scatenato un signor polverone. Divisi i lettori, divisi i critici. Gli entusiasti riconoscono nel discorso di Purdy la capacità di sintetizzare una tesi di grande buonsenso con argomenti profondi e motivati, e il coraggio di dire una cosa che sta sotto gli occhi di tutti e che probabilmente è assai vera persino rispetto allo scempio etico contemporaneo. I detrattori non perdonano al giovane autore l’ingenuità della sua esposizione, la presunzione della sua giovinezza e la fatuità della sua proposta. E con ironia, disincanto e cinismo citano Thoreau, Emerson, Camus, Orwell, un racconto di David Foster Wallace, e tutte le altre volte che hanno sentito questa storia. Il New York Observer e Harper’s Magazine lo hanno massacrato, ironizzando sul suo infantile ecologismo: il primo ha titolato “Così parlò Jedediah”, il secondo gli ha rinfacciato di attaccare l’ironia in quanto tale più che i rischi del suo abuso. Dopo di che è Purdy è stato difeso dal New York Times e da Time.
Purdy, a dirla tutta, non ispira una gran simpatia. Nelle interviste appare terribilmente serio, terribilmente colto, messianicamente presuntuoso, angelicamente insopportabile. Benché spieghi che non vorrebbe mai un mondo senza ironia, “che sarebbe la cosa più grigia che si possa immaginare”, il suo sense of humour è difficile da individuare. Ma al tempo stesso dice delle cose in gran parte vere, pur confondendole con avvilenti visioni bucoliche della sua infanzia, ma spiegandole con grande chiarezza e forza. Al fin della licenza, se la verità sul caso Purdy stesse nel mezzo, potremmo dire che la sua passione e le sue pretese sono condivisibili, ma non pretenderà mica che lo stiamo a sentire?

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