Webnotizie (una rubrica per il Foglio)

Contenuti. Questo articolo parlerà di contenuti, naturalmente. Il futuro è nei contenuti. Chi possiede i contenuti, possiede il potere e l’avvenire, in internet. Quindi, contenuti. Ma prima altre cosette.

Tra quelli che si occupano di internet davvero da esperti, nessuno si azzarda a esporre uno scenario del futuro senza aggiungervi immensi benefici del dubbio. Quelli meno esperti cercano di passare come tali propagandando certezze, e a volte ci prendono. Le ultime sarebbero che il futuro di internet è nei telefonini, e che l’e-commerce non decollerà mai, almeno non come si credeva, almeno non in Europa. Sia o non sia vero, la storia del fallimento di boo.com, ricostruita da Newsweek è meravigliosa e getta una luce eroica più che cupa sulla coppia di giovanotti svedesi che in 15 mesi ha bruciato 135 milioni di dollari per un sito di e-commerce che ha dovuto chiudere due mesi fa. La cosa più avvincente del racconto è il ritmo dei drinks: i due progettarono il business plan bevendo daiquiri, mandarono avanti la baracca a suon di vodka e pompelmo, e decisero la chiusura davanti a due Diet Coke. 135 milioni di dollari sono una bella cifretta.

L’ultimo grido in fatto di saperla lunga, comunque, è che sarà la pubblicità, diversamente da quel che pareva, a sostenere la new economy ventura.

Il 26 luglio si aprirà la fase cruciale del processo che oppone la RIAA (i grandi discografici americani) a Napster, la società che produce il software con cui è dilagato il traffico di musica gratis su internet (nota per le agenzie di stampa italiane: Napster non è un sito. Ha un sito, ma è un programma. Non si scarica musica dal sito di Napster). Martedì scorso il dibattito sulla questione si è arricchito di una vivace audizione davanti a una commissione di austeri senatori, del batterista del gruppo heavy metal dei Metallica, Lars Ulrich. Che ce l’ha con Napster. A me pare che i musicisti abbiano ragione a voler vedere pagato il loro lavoro, e che, sia legittimo o no il bengodi attuale, nessuno riuscirà a fermare legalmente quello che la rete sta scatenando. Chiudi Napster e ci sono già software ancora più efficaci e inarrestabili. La più plausibile e ardita insieme, per ora è la proposta di Courtney Love, cantante delle Hole e vedova di Kurt Cobain dei Nirvana: “Io sono sempre stata contro la pirateria musicale e per i diritti degli artisti. E mi batterò sempre per questo. Allora, visto che maggiori pirati musicali sono le case discografiche, che calpestano i diritti degli artisti e si arricchiscono a loro spese, io dico alleiamoci con internet per raggiungere i fans senza farci derubare dall’industria”.

In concomitanza con la presentazione di un piano di Lionel Jospin per l’alfabetizzazione informatica totale dei francesi, un sondaggio citato da Libération ha riportato che il 30,3% dei francesi “non vede il motivo per collegarsi a internet”.

ModernHumorist.com ha organizzato una versione web del famigerato BigBrother, la trasmissione attesa in Italia in autunno che negli Stati Uniti è appena partita e sta andando male. I personaggi che dovranno convivere per cinque settimane monitorati 24 ore su 24 da telecamere e microfoni fino a che il pubblico non li avrà eliminati tutti fuorché uno (che vincerà 500 mila dollari), su ModernHumorist sono cinque pesci rossi che non si erano mai visti prima. L’altroieri è stata allontanata Heather.

Quelli di poste.it mi sono diventati simpaticissimi. La mattina stessa che il Foglio aveva pubblicato le mie difficoltà a registrarmi al loro promettente sito, hanno chiamato per scusarsi del mancato funzionamento del loro indirizzo di posta elettronica e per venire a capo del problema con la mia registrazione. Uno di loro ci provava da ore e sapeva a memoria il mio codice fiscale. Col passare della giornata le persone collegate in vivavoce al mio telefono crescevano di numero e si mobilitavano. Al calar del sole ci siamo aggiornati all’indomani. A tarda sera ho avuto un lampo: i cookies. I cookies sono dei piccoli files su cui i siti registrano negli hard disk degli utenti molte informazioni utili a riconoscerli e soddisfarne più rapidamente le esigenze. Per un’antica diffidenza nei confronti delle curiosità altrui, oggi quasi del tutto immotivata, una percentuale ridotta di persone, tra cui io, li disattiva. Ma senza i cookies alcuni siti non danno accesso alle loro pagine, e pubblicano un messaggio che prega gli utenti di attivarli. Le poste no, e nessuno di noi ci aveva pensato.

Si era promesso di parlare di contenuti. E allora, una promessa è una promessa. La mantiene una citazione da un articolo di Matt Beer sul San Francisco Examiner: “Nel gergo del web, i testi e le notizie si chiamano ‘contenuti’: la versione digitale di quello che nelle riviste, nei giornali e alla tivù evita che le pubblicità vadano a sbattere l’una contro l’altra. Ecco, se siete sul web, invece che storie si chiamano contenuti”.

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