Lying Awake

La storia di “Lying Awake” si svolge quasi interamente all’interno di un convento di clausura carmelitano situato nei confini metropolitani di Los Angeles. Un’isola di silenzio e devozione presa tra una highway, lo stadio dei Dodgers e Chinatown. La protagonista è una delle dieci suore che vi risiedono, Sister John of the Cross, che da ventotto anni non lascia il monastero se non per le occasionali e rapide visite mediche. L’avvicinamento alla clausura di Sister John è raccontato attraverso una serie di flashback come non particolarmente tempestoso, salvo un rapporto sciagurato con la madre assente. Ma il vero cuore della storia è il suo faticoso cammino verso Gesù, assillato da insicurezze e dubbi fino a quando una condizione di estasi e visioni non comincia a visitarla sempre più sovente. Da queste visioni trae l’ispirazione per la scrittura di odi religiose, che hanno un cospicuo successo editoriale e permettono al convento di restaurare il tetto e sostenersi e a lei di trovare serenità. Fino a quando le emicranie che accompagnano le estasi di Sister John non diventano così dolorose e stremanti da convincerla a una visita medica che rivela come quelli che la paziente vive siano stati di epilessia dovuti a un piccolo tumore al cervello.
E tutte le questioni che il romanzo solleva sono racchiuse nel dilemma tra fede e scienza, tra antiche credenze e nuove tecnologie, tra il desiderio di mantenere la propria vicinanza a Dio e quello di metterla alla prova. Tra la scelta di farsi curare e quella di accettare il proprio stato.
Mark Salzman è un romanziere eclettico, ha ambientato i suoi libri precedenti in Cina, nei sobborghi americani e negli ambienti della musica classica. “Lying Awake” ha una trama ridotta all’osso (“Un romanzo su una suora tormentata dalla scoperta che le sue visioni mistiche hanno una causa biologica”, la sintetizza il New York Times) in cui esiste praticamente un solo personaggio che non si allontana che per poche pagine da un convento di clausura. I dubbi e le ansie provocate dalla scoperta che quella che doveva essere una fede tanto cercata è in realtà una malattia, e le implicazioni conseguenti sono però argomento bastante per sostenere la lettura, pur con qualche fastidiosa lentezza. E Salzman è bravo a condurre a buon fine la storia con questo materiale minimo. L’effetto dell’epilessia sulla fede e sull’arte è sottolineato dalla citazionedelle vite di Santa Teresa D’Avila e Fedor Dostoevskij, benché le contraddizioni siano assai più sfumate di quanto le avrebbe mostrate Dostoevskij stesso. La scrittura di Salzman cerca di aderire alla condizione della sua protagonista, sobria, semplice – ma a momenti fatta di metafore trite, “her eyes the same color as the sky”, “an orderly with mahogany skin” – e manca del tutto di qualsiasi ironia (pochi tentativi di illuminare la vita quotidiana delle suore si risolvono abbastanza mediocremente), cadendo a volte in sbandate zuccherose: “Venus, the morning star, shone right outside her window like a beacon, reminding her that it was Christmas”).
Alcune battute su Gesù sono eccellenti: “at times, reality had taken even him by surprise”; “Christ died without seeing his work completed: by human standards it was a failure”. Ma il pregio maggiore del libro di Salzman, assieme all’accattivante idea che lo sorregge, è il suo equilibrio nel lasciare aperta ogni interpretazione della condizione di Sister John e delle sue scelte- interpretazione a cui non può essere estraneo il rapporto con la fede del lettore. E nel non voler dare risposte alle domande “Dio esiste?” e “Si può vivere nella fede e avere dei dubbi?”.

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