Phish – Farmhouse

Per capire perchè il maggiore settimanale di spettacolo americano, Entertainment Weekly, mette i Phish in copertina definendoli “la maggiore band di culto americana” non bisogna comprare i loro cd. Tantomeno il nuovo “Farmhouse”. Bisogna andarli a vedere in concerto. I Phish sono un vero fenomeno, e sono dei fenomeni con vent’anni di carriera. A capodanno hanno suonato nelle Everglades in Florida davanti a ottantamila persone, da mezzanotte alle sette del mattino. Sono in concerto praticamente sempre e hanno un seguito di fans devoto e straordinario, un po’ come i Grateful Dead e – nel loro piccolo – i Nomadi da noi. I Phish sono musicisti straordinari che cambiano scaletta ogni sera, fanno cover di qualsiasi cosa e a volte eseguono interi dischi di altri in un concerto (lo hanno fatto con il “White Album” dei beatles, con “Quadophenia” dei Who e “Loaded” dei Velvet Underground), aggiungendo improvvisazioni e assoli chilometrici. Una volta, a Dallas, hanno suonato solo una canzone, “Tweezer”, lavorandoci sopra per settanta minuti. I fans impazziscono e a Milano demolirono mezzo teatro Smeraldo dall’entusiasmo. La musica è un rocchetto leggero e memore dei solidi Settanta, che sui dischi di studio raggiunge risultati esterni. In Farmhouse è bellissima “Dirt”, ma se non si hanno i soldi per scaraventarsi a seguire la tournée americana in corso, né la pazienza di aspettarli qui, la cosa migliore è ascoltare il doppio live “Hamptons comes alive”, titolo che cita un leggendario live di Peter Frampton.

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