La firma dell’infame

La firma di Osama Bin Laden tradirebbe la personalità di un uomo depresso e frustrato, secondo un eminente grafologo interpellato dal Times di Londra. La notizia, pari a una battaglia vittoriosa, è stata ripresa con baldanza dai maggiori quotidiani italiani: uomo depresso, guerra quasi vinta. Presto un sessuologo svedese dirà che Bin Laden è pure impotente, e l’avremo messo nel sacco. La verità è che la firma di Bin Laden è bellissima, come hanno pensato ieri in molti, vedendola in calce al fax mandato da quel disgraziato alla tv Al-Jazeera. Mi ha chiamato per dirmelo per primo, un mio amico: era vero, e questa dolente constatazione di bellezza connaturata al male mi ha ricordato qualcosa di recente. Ecco cos’era: il black block. In molti avevano ammesso nei giorni di Genova un’attrazione estetica per quella banda di imbecilli, con le loro mise da guerriglia, le marcette, e soprattutto quel nome imbattibile da qualunque agenzia di marketing: il black block. Ecco quindi cosa succede, che per due volte l’emblema su cui riversiamo tutto il male contingente – sperando forte di non sbagliarci, che non ci sia altro male se non lì – estrae dal cappello della sua meschinità e nefandezza un tratto di eleganza inatteso.
Qualcosa di simile deve aver avuto valore persino per lo stesso ingresso del secondo aereo nella seconda torre gemella, in quella sequenza che lo vede inclinato entrare nell’acciaio ed esserne inghiottito. Un piacere di penetrazione che non ha niente di erotico nel senso del coito, come qualcuno ha ritenuto di rivelare, ma che è lo stesso della mano che entra nell’acqua e ne gode. Alessandro Baricco, parlando di tutto quel tragico pomeriggio, ha individuato una terribile emozione tra le altre e ha scritto che era “tutto troppo bello”. Di questo si è detto e scritto molto (e qualcuno perdendo il controllo della misura, come è successo a Stockhausen), ma è una questione più complessa e forse anche più immediata l’eleganza dell’azione infame che non quella più piccola ma impressionante dell’eleganza dell’infame stesso.
“I taleban e più in generale gli afghani sono maledettamente affascinanti”, ha scritto l’altroieri Antonio Armano in una lettera al Foglio. E Bin Laden è molto fotogenico: certo, barba da infedele e sorriso mefistofelico lo rendono ideale per le copertine che annunciano il demonio, ma lui ha comunque una bella faccia. Non era così, malgrado sbandate ebbre e accecate, nel caso di Stalin e men che mai per Hitler. Brutta gente: ed era brutto Pol Pot e sono bruttozzi sia Milosevic che Saddam e non sono granché i mostri delle prime pagine in genere, malgrado ci sia sempre qualche tonta che se ne innamora. Osama Bin Laden invece ha una faccia che sarebbe fantastico se fosse buono: sui rotocalchi andrebbe fortissimo lo stesso. Al Costanzo Show spopolerebbe. L’undicisettembre maledetto qualcuno disse testualmente che sugli attentati c’era la firma di Bin Laden. Eccola qua, la firma, la coda del diavolo, con quel cerchietto che pare un mappamondo, proprio ora che a Milano si apre una mostra di cartografia: firma tanto leggiadra che i giornali continuano a pubblicarla ipnotizzati. Alla faccia del grafologo.

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