Un giorno come un altro a Gerusalemme

Al centro di Gerusalemme c’e’ un grande quadrato di mura spettacolari e ininterrotte, abitato separatamente da arabi, ebrei, cristiani e armeni. E’ la citta’ vecchia ed era piu’ calma, l’altra sera, soprattutto nel suo quarto arabo. Pochissima gente in giro al tramonto. Paura di quello che puo’ succedere, in una sera cosi’. Ma e’ fuori, a Ramallah, che si preparava nella notte la punizione israeliana. Ramallah e’ in pratica la continuazione di Gerusalemme a nord, collegata da una specie di tangenziale dove ieri erano stati riaperti I posti di blocco tra le due citta’. “Ieri sembrava un giorno speciale, con i checkpoint di Ramallah aperti, sembrava che qualcosa di buono potesse accadere presto”, dice il tassista armeno. Invece. Invece proprio accanto a questo stradone c’e’ un albergo, lo Hyatt. Fu costruito quindici anni fa e la linea verde la separazione tra la Gerusalemme est araba e l’ovest ebreo gli passava attraverso. Benche’ quella fosse una zona palestinese, gli israeliani l’avevano insediata con le loro costruzioni, incunenadosi a oriente. L’altroieri mattina dentro lo Hyatt qualcuno ha ammazzato il ministro del Turismo del governo israeliano, Rechavam Zeevi, un uomo di 75 anni che stava lasciando il governo di Sharon accusandolo di essere troppo docile con i palestinesi. Uno non penserebbe che un ministro di destra che viene da Tel Aviv e che sostiene che gli arabi andrebbero espulsi da Israele, scelga di risiedere a Gerusalemme in un albergo dalla parte araba della citta’, e di andarci senza scorta. E invece. Non ho bisogno di nessuno, non ho paura di niente, questo e’ il mio paese, diceva Zeevi. E non era l’unico, gli israeliani sembrano avere spesso un desiderio di sfida e di ultima parola che da fuori pare infantile e folle. “Provocatoriamente” e’ l’avverbio che ricorre piu’ spesso nei racconti sulle azioni delle persone qui.
“Adesso ti conviene tornare a Gerusalemme, che ci metterai un po’, oggi”, mi consiglia con un sorriso ammiccante il ragazzo palestinese davanti all’universita’: “I nostri soldati hanno ammazzato un ministro israeliano”. Lo dice come se si trattasse di un’uscita dell’autostrada chiusa per lavori. Gli altri non sembrano molto colpiti dalla notizia, e riprendono a raccontarmi cosa pensano dell’America. Da questo muretto di pietre davanti alla facolta’ di Legge, sotto un gran sole, la prospettiva cambia molto rispetto a quello che si capisce stando a Milano a guardare i tiggi’. L’universita’ Al-Quds e’ poco fuori citta’, a sudest, e per arrivarci bisogna passare i posti di blocco che circondano tutta Gerusalemme. Il ragazzo ha ragione, tornando il pullman fa una lunga sosta durante la quale ogni passeggero viene controlato e identificato dai soldati armati. Ma e’ una cosa normale, qui. Alcuni degli studenti si alzano prima delle sei per mettere in conto il tempo perso ai checkpoint e arrivare in orario alle lezioni.
Le sfumature del loro pensiero possono sembrare a loro volta ridotte o estese, dipende dalla lente. Vanno da “Bin Laden sbaglia e non ha niente a che fare con noi” (massima condanna) a “Gli americani se lo meritano”. Fa impressione quando delle cose cosi’ te le dicono non quelle specie di barbari alieni che ci mostra la CNN, mentre levano i mitra festanti e mostrano le foto di Bin Laden, ma dei ragazzi svegli, spiritosi, colti, che hanno appena discusso con il loro professore l’incivilta’ del diritto consuetudinario – ancora in uso in qualche citta’ Palestinese – e si vergognano delle arretratezze del loro paese. Che sono stati qualche volta in Europa, e gli e’ piaciuta la Germania e la Danimarca, e hanno un fratello che ha sposato un’italiana, e sono curiosi di sapere cosa pensa di loro la gente occidentale. Ma l’America. Chi ha armato Bin Laden?, dicono. Chi bombarda i civili in Afghanistan?, dicono. Chi ha sempre sostenuto gli israeliani che ci sparano addosso?, dicono. Poi ci sono quelli che pensano che se Bin Laden volesse aiutare davvero la Palestina, perche’ non manda un bel po’ di soldi, che ne ha tanti?, e quelli che pensano che gli stati arabi dovrebbero tutti funzionare sulla legge islamica. E nessun governo arabo vicino e’ stimato, qui. Tutti dittatori, da Saddam a Gheddafi, dalla Siria all’Egitto. E dittatore anche Arafat: qualcuno lo sopporta, ma tutti dicono “ce lo siamo trovato, non lo abbiamo scelto”. “I palestinesi” non esistono, cercare di sintetizzare cosa pensano e’ come voler spiegare cosa pensano gli italiani.’
Ma perche’ Berlusconi ha detto quelle cose, che questa e’ una guerra santa contro l’Islam?, chiedono gli aspiranti avvocati di Al-Quds. Gli spiego cosa pare abbia detto Berlusconi, un’altra cosa, ma non sono molto soddisfatti. “Da voi pensano che siamo tutti assassini, ti sembriamo assassini? Hai paura qui con noi”. Non ho paura: sono gentili, affettuosi, alcuni sono intelligenti e preparati, sono disposti a parlare del fatto che lo stato e la religione non devono mescolarsi, che la democrazia e’ meglio, che le donne sono discriminate nei paesi musulmani, e rispondono che si’, capiscono, ma la loro religione e’ questa e loro vogliono obbedirle. Ti salutano con un abbraccio ma ti hanno appena detto che se non fosse per il terrorismo, con Israele non si otterrebbe niente.
Il pullman, tornando, passa sotto la spianata delle moschee, nell’angolo sudorientale della citta’ vecchia, dove adesso hanno accesso solo i musulmani. Per decenni gli ebrei sono andati ad attaccare briga, a sparare, ad appiccare incendi, a posare pietre di un nuovo tempio sul luogo dove si trovava una volta, e di cui ora resta solo il muro su cui la spianata e’ appoggiata. L’ultimo che e’ stato lassu’ e’ Ariel Sharon con la sua famosa passeggiata di un anno fa. Provocatoriamente. Da li’ e’ ripartita l’intifada, e quello che Gerusalemme e’ oggi. In giro non si vede un turista neanche a pagarlo. Non c’e’ stato un “calo” del turismo, da un anno, dall’inizio dell’intifada. Semplcemente non c’e’ piu’ turismo. Gli alberghi sono vuoti, solo giornalisti. Quelli nuovi e grandi iniziati piu’ di un anno fa a nord della Porta di Damasco sono ancora piu’ spettrali nell’incombere del loro disgraziato destino. La chiesa del Santo Sepolcro e’ vuota. A Betlemme non va piu’ nessuno. Da un anno il turismo israeliano e’ spacciato. Fa impressione che sia stato ucciso il ministro del Turismo, e in un albergo.
Il muro su cui la spianata e’ appoggiata e’ il Muro del Pianto. Alla sua spianata riflessa si accede solo attraverso i metal detector, in tre punti diversi. Tira un vento fresco che gonfia le dodici grandi bandiere e le molte altre piu’ piccole che hanno portato i ragazzi che arrivano da tutte le parti con la kippah in testa. Sta tornando una gita di loro amici che sono andati in Polonia – “a vedere quello che i tedeschi ci hanno fatto la'” e c’e’ una specie di cerimonia con bibite, dolci e bandiere. La citta’ e’ costellata di bandiere di Israele, quelle spavalde e quelle a mezz’asta, oggi. La piu’ impressionante e’ nel quartiere arabo e scende dalla casa di Sharon sulle teste dei palestinesi indaffarati nel mercato sottostante. Provocatoriamente.
“Non si devono uccidere gli innocenti, e non si devono uccidere I leader. Solo I soldati, sul campo di battaglia”. Lo dicono in molti, tra I palestinesi, e forse non tutti lo pensano davvero. Ma lo pensa uno che si e’ fatto quindici anni di galera per aver appartenuto al PFLP, e adesso fa l’insegnante. “Zeevi era un uomo. Le sue opinioni erano orribili, ma lui era un uomo degno di rispetto”, dice, mentre a Ramallah i carri armati israeliani hanno cominciato a sparare. Si arrabbia a sentir parlare di due nazioni separate. Dice di credere in uno stato comune e democratico, in cui i due popoli conviveranno. Se gli ebrei hanno paura di diventare una minoranza, mettiamo nella Costituzione delle norme che li garantiscano. Che non si possano cambiare, che l’islamismo non si allarghi. Ma ricordatevi che quella paura gliel’avete fatta venire voi europei, dice, e non ve ne potete lavare le mani. “Ci vorranno ancora decenni ma e’ la sola soluzione, le altre non funzioneranno mai”. Non ce ne sono molti come lui. E infatti dall’altra parte della citta’, quella occidentale e moderna degli israeliani, la salma di Zeevi e’ esposta davanti alla Knesset.

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