YankeesMania

6 novembre 2001
Nella terrà delle opportunità succede. Che il Chievo del baseball batta la Juve del baseball. Che una squadra di sei anni sconfigga in finale l’istituzione più leggendaria dello sport americano. Che la grandezza sia all’improvviso fragile, e crolli. In America succede, e i Diamondbacks sono campioni. Una squadra di Phoenix. Succede, e gli Yankees hanno perso. Una palla che vola in fondo al campo all’ultimo inning, e il sindaco Giuliani è ammutolito, i suoi due ragazzini hanno gli occhi lucidi, tutta New York vede spengersi “la luce in fondo al tunnel”. Niente da fare. Perché la verità è che qua nessuno ti regala niente.

3 novembre 2001
“Non avevo mai visto in vita mia una cosa del genere, e ora l’ho vista due volte”, ha detto un amico a Scott Brosius. Mentre la sinistra italiana si spaccava su come far passare il sabato a Violante, gli Yankees vincevano la quinta partita esattamente come avevano vinto la quarta. Ultimo inning, sotto di due, due giocatori eliminati, e un fuoricampo di Brosius sbattuto in faccia al disgraziato lanciatore di Arizona, il coreano Kim. Che passerà i prossimi sabati a vendere hot dog ai fans, e la sinistra italiana può trarne insegnamento. Tre a due, adesso. “Le chiamano finali mondiali, ma di solito le giochiamo qui”, diceva uno striscione allo Yankee Stadium, ieri.

2 novembre 2001
Com’è il baseball? Il baseball è che gli Yankees sono sotto tre a uno nella quarta partita. Arizona ha fatto entrare Kim, un coreano che lancia come non si è mai visto, di sottomano, con un gesto laterale e una torsione improvvisa del polso. Gli Yankees ci diventano scemi, girano la mazza a caso e lui li fa fuori a uno a uno, un cecchino nemico. E poi, ultimo inning, quasi alla fine del massacro, succede una cosa. Succede che Martinez prende la mira e la incocca, la palla, e quella fottuta vola vola vola ed è un fuoricampo da due punti, pareggio, e da lì Kim comincia a sbagliare tutto e Jeter al secondo supplementare fa un altro fuoricampo e viene giù lo stadio. E adesso siamo pari. Ecco com’è il baseball.

1 novembre 2001
Ha fatto l’aeroplanino Mariano Rivera  secondo lanciatore degli Yankees nella partita di ieri  quando l’ultimo uomo di Arizona è stato eliminato? È corso a fare il trenino a quattro zampe con i suoi? È salito sul muro degli spalti battendosi il petto? Si è tolto la maglia e se l’è messa in testa? Si è inginocchiato e ha ringraziato Dio o Allah? Si è fatto il segno della croce? Ha ballato la samba? Ha mostrato la canottiera con su scritto “vi ho purgato ancora?
Mariano Rivera ha lanciato, Williams è stato eliminato, gli Yankees hanno vinto la terza, Giuliani e gli altri 56mila si sono alzati ad applaudire. E Mariano Rivera, l’uomo decisivo in quel momento decisivo, ha sollevato appena l’avambraccio stringendo le dita in un pugno. Ed è uscito dal campo.

31 ottobre 2001
“Take me out to the ball game, Take me out with the crowd.
Buy me some peanuts and cracker jack, I don’t care if I never get back,
Let me root, root, root for the Yankees, If they don’t win it’s a shame.
For it’s one, two, three strikes, you’re out, At the old ball game.”
La bandiera di noi del baseball, eccola qui. Al posto di (Yankees) ognuno può mettere la sua, se ha il coraggio. La compose Jack Norworth nel 1909 a Manhattan e la canteremo come al solito nella pausa del settimo inning stasera, allo Yankee Stadium del Bronx come a casetta nostra. (suggerimento per il 10 novembre).

30 ottobre 2001
“Potremmo non trovarlo mai”. “Tutte le scelte fatte stanno funzionando, ma per loro”. “Sta diventando più difficile del previsto”. “Ho fatto schifo”. “Se avete delle idee, fatevi avanti”. “Se avete un piano, ditemelo”. “Questa è soltanto la prima fase”. “Ci rifaremo, è già successo”. “Solo un colpo di fortuna potrebbe eliminarlo”. “Ci hanno eliminato ogni uomo”. Le battute dispari sono state fatte a proposito dell’attacco in Afghanistan, quelle pari sono degli Yankees e dell’allenatore Joe Torre dopo le prime due partite delle finali, perse. Ora New York teme l’antrace, Schilling e Johnson, i lanciatori di Arizona che hanno fatto battere agli Yankees solo sei palle su 59.

27 ottobre 2001
Nel Golfo Persico saranno le quattro del mattino. In Pakistan starà albeggiando. In Corea avranno già fatto colazione in mensa. A Vicenza, Livorno ed Aviano saranno le due di notte (anche per noi davanti a Telepiù). Quelli di Porto Rico le vedranno alle otto di sera. Le finali del baseball saranno trasmesse dallo Armed Forces Network in 175 paesi per 800 mila soldati Usa fuori dal loro paese. Stasera ascolteranno Jewel intonare l’inno. E poi si comincia, con la palla a stelle e strisce disegnata per l’occasione, e il pitcher Yankee Mike Mussina primo sul monte di lancio. “Dare ai nostri uomini e donne in divisa fuori dagli Usa la diretta delle finali è una top priority”, ha detto il colonello dell’aviazione Ray Shepard.

26 ottobre 2001
L’anno scorso quattro semifinaliste su quattro avevano allenatori italiani (dicono italiani, là, non italoamericani), Joe Torre, Lou Piniella, Bobby Valentine e Tony LaRussa. Quest’anno ci sono riusciti di nuovo Piniella dei Mariners e Torre degli Yankees. La mamma di Torre si chiamava Margherita, lui e i suoi quattro fratelli sono di Brooklyn. Lui ci nacque nel 1940, lo stesso anno di Al Pacino e John Gotti, tutti newyorkesi. Joe Di Maggio, il più grande Yankee della storia, era di San Francisco. Sposò Marilyn Monroe che gli Yankees avevano appena vinto il campionato per la quarta volta consecutiva. Mai più successo nella storia, almeno fino alla settimana prossima. Il primo che se lo aspetta si chiama Giuliani.

25 ottobre 2001
La manifestazione a cui teniamo si farà. E il Foglio sarà presente. Ci saranno le bandiere e tutti quelli della compagine vincente. Gli altri no, quelli staranno a casa a rimuginare. Ci sarà anche il sindaco di New York, Rudy Giuliani. Non si è ancora deciso se fare o no il corteo, per ragioni di opportunità. Ma se si farà, il percorso sarà quello storico, il “canyon degli eroi”, dove sfilarono tra la folla Charles Lindbergh, Dwight Eisenhower, Douglas MacArthur e gli astronauti della luna. Se gli Yankees vincono le finali, sarà una festa memorabile, a New York.

24 ottobre 2001
E allora, il prossimo weekend tutta New York lo passa in Arizona. “No game six”, cantavano ieri Rudy Giuliani e i 56 mila dello Yankee Stadium: non c’è stato bisogno della sesta partita, a Seattle. Perdendo, gli Yankees sarebbero volati subito dall’altra parte del continente per giocare ieri sera, ma non avevano voluto portare allo stadio le valigie, sicuri. Il party negli spogliatoi è stato rispettoso, niente champagne spruzzato ovunque, di questi tempi. E da sabato, le finali del baseball. La più grande squadra del mondo contro quelli alla prima volta, gli Arizona Diamondbacks. Il più grande spettacolo sportivo dell’anno, un anno orribile, e i newyorkesi tutti là.

23 ottobre 2001
Alfonso Soriano è il ragazzino in una squadra di veterani. Tutta New York lo sta guardando. Anche Rudy Giuliani, il suo sindaco, che poco fa ha abbracciato il coach avversario Lou Piniella. Lo stanno guardando tutti, per linciarlo al prossimo errore, dopo le papere recenti. La partita contro Seattle, che ha dominato il campionato, sta finendo. E lui colpisce con tutta la forza che ha e questa volta la incocca. Partita vinta. Un’altra e gli Yankees saranno in finale, la quarta di seguito. “Gli Yankees campioni”, ha promesso Giuliani, con il cappellino con la enne e la ipsilon. Sui giornali di ieri, un palestinese brandiva minaccioso un mitra. Aveva in testa il cappellino con la enne e la ipsilon.

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