Weeklypedia (una rubrica per il Foglio)

Ted Neeley (Ranger, Texas, 20 settembre 1943) è un attore, cantante, batterista e compositore statunitense. È divenuto famoso per aver interpretato Gesù Cristo nel film Jesus Christ Superstar, trasposizione cinematografica del musical di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber.
Dotato di una voce alta e graffiante ha dato in quest’ultimo un’ottima interpretazione di un Cristo piccolo, umano, considerato da molti “finito” ed insignificante, come una rockstar non più amata.

 

Non avevo mai visto Jesus Christ Superstar. E sono quelle cose che se non le vedi allora, dopo ti sembrano per forza un po’ ridicole. E però certe canzoni, e l’idea dell’allestimento, e le scene, insomma mentirei se vi dicessi che sono restato sveglio fino alla fine, ma capite che era una sera d’estate, la notte prima avevo dormito male in traghetto, cioè non è colpa del povero Gesù, che già gliene capitano parecchie. Comunque sapevo come andava a finire, direte voi.
Mia moglie invece ne è una grande fan da quando aveva tredici anni, e si è un po’ risentita. Voleva raccontarmi delle cose di Ted Neeley, ma forse a quel punto dormivo già. Leggo su Wikipedia che nella versione broadwayana del musical lui voleva fare Giuda, ma la parte fu data a Ben Vereen, e allora ripiegò su Gesù.

 

Un uovo alla coque è un uovo cotto nel suo guscio in acqua portata ad ebollizione, per la durata di tre minuti. Questo tipo di cottura permette di solidificarsi al bianco lascinaod liquido il rosso.

 

Quando ho letto che il direttore del Foglio sanciva la sua distanza dagli animali dicendosi capace di cuocere “un uovo alla cocque”, ho voluto controllare. In quanto umano, conosco la mia capacità di errore. Ma in effetti, si scrive coque, senza l’acquosa ci in mezzo. La differenza tra il direttore e il leone da lui citato è comunque confermata: il leone infatti non lo sa fare, ma non avrebbe mai sbagliato a scriverlo.

 

Giuseppe D’Avanzo (Napoli, 10 dicembre 1953) è un giornalista italiano, che attualmente scrive sul quotidiano La Repubblica.
Laureato in filosofia e giornalista professionista, dopo aver lavorato al Corriere della Sera, nel 2000 è approdato a La Repubblica. Ha curato con il giornalista Carlo Bonini, suo decennale collaboratore, i principali scoop investigativi nei quali la cronaca nera s’è incrociata con la politica, soprattutto estera e militare.

 

Nel casino del caso Tavaroli di questi giorni, le due cose più leggibili sono state quelle personali: la lettera incazzatissima di Fassino a Repubblica che usava il verbo “sputtanare”, e il tentativo di giustificarsi di Peppe D’Avanzo con l’argomento “guarda che è capitato anche a me”. D’Avanzo raccontava di come una calunnia sul suo ricever soldi da De Gennaro sia arrivata fino a un’interrogazione parlamentare da parte di Francesco Cossiga e su Wikipedia. La formula che si trova oggi sulla pagina di Wikipedia dedicata a D’Avanzo è questa:
”Spesso, le inchieste del team Bonini-D’Avanzo hanno fatto discutere. Probabilmente per reazione a tale ricca messe informativa, s’è più volte affacciata l’ipotesi che D’Avanzo e Bonini abbiano fonti direttamente nel mondo degli agenti segreti. Tale “fisiologico” precipitato delle rivalità tra testate ha registrato un’impennata dopo la scoperta (nel caso Telecom-Sismi) che il giornalista Renato Farina era a “libro paga” del Sismi: Francesco Cossiga ha presentato un’interrogazione parlamentare in cui si chiede se D’Avanzo e Bonini siano con l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro in rapporto di giornalista-fonte, o se invece dal secondo ai primi vi sia stato passaggio di danaro”.
La cosa strana è che il passaggio fu inserito già praticamente identico da chi creò per la prima volta questa pagina, l’11 giugno 2007 (i successivi aggiornamenti e modifiche di Wikipedia sono consultabili da tutti). Se non mi sfugge qualcosa, tra l’altro, ciò che dice Wikipedia non è in sé calunnioso – benché non mi sfugga il potere di una balla anche se esposta avvisando che forse è una balla -, riportando come fatto l’interrogazione parlamentare di un senatore della Repubblica: chi si occupa di Wikipedia definisce “non enciclopedico” il tipo di informazione vera ma di dubbia rilevanza o senso nell’ambito trattato. Si può discutere se la scelta di riportare quel fatto sia quindi stata opportuna o no: ma di certo non se si usano gli argomenti esposti da Repubblica in questi giorni sulla necessità di raccontare tutto e non nascondere niente: allora lo è senz’altro, no? Tant’è vero che da allora né D’Avanzo né nessun altro ha ritenuto di intervenire per chiedere la rimozione o la modifica del passaggio (avrebbe potuto farlo anche personalmente in pochi secondi).
Ma ho voluto capire se era vero – come ha raccontato D’Avanzo – che la storia fosse stata messa su Wikipedia da un computer del Senato. E anche questo è facile da riscostruire. La voce “Giuseppe D’Avanzo” di Wikipedia è stata creata come dicevo l’11 giugno del 2007. E l’indirizzo IP del computer che l’ha creata è in effetti registrato al Senato della Repubblica. Perché qualcuno dentro il Senato dovrebbe non solo mettere in rete un’affermazione che accusa un gionalista, ma addirittura creare una pagina di Wikipedia dedicata a quel giornalista in generale? Probabilmente la seconda cosa è legata alla prima: lo stesso indirizzo IP ha pochi minuti dopo creato anche la voce “Carlo Bonini”, che è ancora più parca: sette righe di cui quattro dedicate alle “critiche sulle fonti” di Bonini, in questo caso assai più pretestuosamente che in quello di D’Avanzo.  Certo, si scopre anche che i computer legati allo stesso indirizzo (e quindi sempre all’interno del Senato) sono intervenuti negli ultimi tre anni su una massa notevole di voci, con più di seicento inserimenti. Solo alcuni esempi: Tagliacozzo, Big bang, Total, villa Adriana, Stefano Passigli, pallamano, Francesco Cossiga, esogeno, Bettino Craxi, Fratelli Wachowski, Lio, Il nome della rosa, Eugenio Scalfari, Jaco Pastorius, Enrico Deaglio, Punjab, solecismo, Giulia Steigerwalt, Arte cinese.

 

 

Peaches Honeyblossom Michelle Charlotte Angel Vanessa Geldof (16 marzo 1989) è una “socialite” britannica e occasionale conduttrice televisiva. Peaches Geldof è nata a Londra nel 1989, seconda figlia di Bob Geldof e Paula Yates. È la nipote di Hughie Green. Le sue sorelle sono Fifi Trixibelle Geldof (1983) e Pixie Geldof (1990): ha anche una sorellastra più giovane, Heavenly Hiraani Tiger Lily Hutchence, (1996). È cresciuta a Chelsea, e attualmente vive a Islington.

Un “socialite” è una persona nota per far parte di una società e alla moda che partecipa regolarmente ad attività mondane e passa molto tempo divertendo e divertendosi: ma anche offrendo parte del suo tempo e impegno ad attività benefiche o filantropiche. Di solito i “socialites” possiedono una ricchezza considerevole, ereditata o guadagnata, che permette loro un’assidua frequentazione di occasioni di questo genere.

 

Molte delle voci che consulto si trovano nella versione anglo-americana di Wikipedia, assai più ricca di quella italiana (eccetto che per le voci più specificamente nazionali). Nel caso di Peaches Geldof mi trovavo in difficoltà a tradurre qui il suo titolo di “socialite” e ho tratto da Wikipedia anche quella definizione.
Peaches Geldof è spesso sulla stampa pettegola e non, in Inghilterra: questa settimana si è scritto di una sua overdose, e la notizia è arrivata anche sui quotidiani italiani. Poi un suo portavoce ha spiegato che era solo svenuta per aver respirato i vapori della tintura bionda che usa frequentemente, ma sinceramente non saprei a chi credere. La ragazza è una passione dei tabloid, per la famiglia da cui viene e le scemenze che va facendo in giro, ma ha una storia molto incasinata. È la figlia di Bob Geldof, quello dei Boomtown Rats e del Live Aid: quello nominato dalla regina sir Bob Geldof, anche se da irlandese non potrebbe farsi chiamare “sir”. La moglie di Geldof, Paula Yates, era una nota giornalista televisiva. Lo lasciò nel 1995 per Michael Hutchence, il cantante degli australiani INXS, e andò a vivere con lui e con le tre bambine avute con Geldof. Nacque un’altra  bambina, figlia di Hutchence. Ma lui dopo due anni morì strangolato in circostanze mai chiarite con certezza: l’autopsia sancì il suicidio, ma si parlò di autostrangolamento a fini autoerotici e di altre cose torbide. Paula Yates, già vittima di crisi depressive e di pesanti aggressioni da parte dei media e del pubblico britannico (un altro scandalo fu la rivelazione che il suo vero padre era il presentatore di quiz televisivi Hughie Green e non Jesse Yates, conduttore di programmi religiosi), fu trovata morta per un’overdose di eroina, a casa sua, nel 2000. Aveva quarant’anni. Bob Geldof ottenne la custodia delle sue figlie e anche di Tiger Lily, ovvero la figlia orfana di Hutchence e della sua ex moglie.

 

“Ich bin ein Berliner” è la celebre frase pronunciata dal presidente degli Stati Uniti d’America John F. Kennedy durante il proprio discorso tenuto a Rudolph Wilde Platz, difronte al Rathaus Schöneberg il 26 giugno 1963 mentre era in visita ufficiale alla città di Berlino Ovest. La frase tradotta in lingua italiana significa: io sono un berlinese.
La frase fu pronunciata con l’intento di comunicare alla città e alla Germania stessa, seppur entrambe divise, una sorta di vicinanza e amicizia degli Stati Uniti dopo il sostegno dato dall’Unione Sovietica alla Germania Est nella costruzione del muro di Berlino come barriera che impedisse gli spostamenti dal blocco orientale socialista all’occidente libero.
Il discorso è considerato uno dei migliori di Kennedy, e un momento celebre della guerra fredda. Fu un grande incoraggiamento morale per gli abitanti di Berlino ovest, che vivevano in una enclave all’interno della Germania Est da cui temevano una invasione. Parlando dal balcone del Rathaus Schöneberg (Municipio del quartiere di Schöneberg, allora sede dell’amministrazione comunale dell’intera Berlino Ovest), Kennedy disse:
«Duemila anni fa l’orgoglio più grande era poter dire civis romanus sum (sono un cittadino Romano). Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più grande è dire ‘Ich bin ein Berliner.’ Tutti gli uomini liberi, dovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso delle parole ‘Ich bin ein Berliner!’»

 

Dopo il discorso berlinese di Obama, tutti a ricordarsi di quella volta di John Kennedy. E qualcuno ha ritirato fuori la vecchia leggenda da salotto per cui la frase kennedyana sarebbe stata in realtà una gaffe di cattivo uso della lingua, significando in realtà “Io sono una ciambella”. In effetti la cosa fa ridere, e a raccontarla si fa sempre bella figura: ma è una balla. Solo in alcune altre parti della Germania “berliner” è il nome di una specie di krapfen: non a Berlino dove nessuno equivocò. Nemmeno Wikipedia sa risalire alle origini della leggenda, ma racconta di come sia avallata anche in “Gioco a Berlino” di Len Deighton.

 

 

Altre voci che ho cercato questa settimana:

Oak Fund
Hayley Legg
Antropolatrico
Torregaveta
Fist jab
Dorina Bianchi
Tongue in cheek
Hello Spank
Knol
Erpetologo
Len Deighton

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