Plìn plòn

A un certo punto c’è stata la New Age. Poi è passata, travolta dal ridicolo, ma i suoi cascami sono rimasti in molti ambiti diversi delle nostre vite, dall’alimentazione, alle attività fisiche, a certi pensieri, alle piccole cose. C’è gente normalissima che accende l’incenso in casa, o le candele, o va nei parchi e fa dei balletti.
C’era anche la musica New Age, e non si è mai capito bene come si definisse: doveva essere tendenzialmente molto quieta e soporifera, fossero canti dei delfini o arpiste. Non cantata, ma poi c’erano anche Enya e Tuck and Patti. Una casa discografica ci costruì un periodo di grande culto, sulla musica new age di qualità (di qualità vuol dire: non canti dei delfini). Si chiamava Windham Hill e pubblicò in breve tempo moltissimi dischi. Tra i suoi artisti c’erano Mark  Isham, sommo compositore di colonne sonore, il fondatore e chitarrista William Ackermann, i pianisti Liz Story, Philip Aaberg e George Winston. Winston procurò alla Windham Hill i maggiori successi della sua storia, entrando nelle classifiche dei 100 dischi più venduti diverse volte negli anni Ottanta: e parliamo di mielosi dischi di solo pianoforte. Ma di una mielosità meravigliosa e struggente, se siete di quelli che ci cascano.
Ora è uscito un suo nuovo disco, fuori tempo massimo. Del tutto inutile, come le candele. A meno che non siate di quelli che ci cascano.

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