Sulla parola dissidente

La confusione sul caso Shalabayeva – già abbastanza intensa per le responsabilità che sappiamo – si è nutrita per alcune settimane anche di un notevole spaesamento da parte dell’informazione. La notizia sull’operazione di polizia a Casal Palocco è stata data dalle agenzie e ripresa da molti giornali subito, ma è arrivata in redazioni che in quel momento non avevano mai sentito parlare di Ablyazov e spesso avevano anche nozioni piuttosto scarse sul Kazakistan e sulla sua politica. Mancavano competenze per sollevare sopracciglia, e la storia è finita lì.

Poi, un mese dopo, l’avvocato di Alma Shalabayeva ha trovato ascolto al Financial Times, che ha fatto un pezzo più chiaro e scandalizzato, e alla Stampa, che ha aperto il fronte della campagna giornalistica italiana. Ma ancora lì, gli approfondimenti erano pochi: quelle prime benemerite due pagine della Stampa avevano come fonte l’avvocato e lo stesso Ablyazov, senza ricerche maggiori. E così è stato per diversi giorni sugli altri giornali, che hanno adottato quindi per Ablyazov la sbrigativa qualifica di “dissidente”, con il suo carico di nobiltà e valore politico. I buoni.

In realtà, come abbiamo imparato rapidamente facendo un po’ di ricerche più accurate, la biografia di Ablyazov dice molte cose diverse e complicate, e per niente limpide. Questo non modifica per niente la diffidenza rispetto alle persecuzioni di cui è fatto oggetto da parte del suo ex alleato Nazarbayev, né la vergogna per quel che è accaduto a sua moglie e a sua figlia o la preoccupazione per quello che possa accadere loro. Ma è chiaro che quella sbrigativa e incompleta definizione di “dissidente” si è portata dietro parecchi equivoci e ha fatto per contro il gioco di chi poi ha provato a smontare le ragioni delle proteste ricordando il curriculum criminale di Ablyazov e contestando che di “buoni” si trattasse, come se il problema fosse quello.

Suggerirei quindi almeno d’ora in poi una spiegazione ai lettori più accurata e articolata di chi sia Ablyazov, che superi l’impostazione buoni/cattivi e che dove sia proprio costretta per comprensibili ragioni di sintesi, lo chiami banchiere, piuttosto. Il suo lavoro principale è sempre stato quello, prima di esagerare e mettersi nei guai con uno più grosso di lui.

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Un commento su “Sulla parola dissidente

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