La privacy solo quando è la mia

Benché gli esempi umani che esibisce siano facili – in giro si trovano cretini buoni per dimostrare qualunque tipo di cretineria – il punto di questo articolo di The Verge (“Dite buongiorno a questi uomini che odiano la NSA ma adorano invadere la privacy delle donne”) è efficacissimo e rivela quanto sia ipocrita e infantile gran parte del ribollire di indignazione intorno alla “nostra privacy” sotto attacco di istituzioni private e pubbliche. Posto che il problema esiste – e ci mancherebbe -, l’allarme intorno alle “intrusioni nella mia vita privata” è per molti (non per tutti) un’occasione di dare un’importanza pubblica alla propria privata, finora insignificante come quella di quasi tutti noi, o di sfogare da qualche parte una tendenza all’indignazione che è diventata una specie di dipendenza. E se non bastasse la contraddizione tra il tenere alla propria riservatezza e il diffondere sempre di più ogni cosa possibile di sé (“eh, ma lo decido IO!”), adesso arriva l’eccitazione (in tutti i sensi) che si è scatenata – non solo tra i singoli, ma anche in molti media: che ormai si confondono – intorno alle foto private di un esteso gruppo di persone (donne, ma trascuro questo ovvio aspetto della storia) che sono state rubate ed esposte al pubblico ludibrio, nel migliore dei casi. E molti di quelli che le stanno affannosamente cercando online tuttora, o che ci cliccano a ripetizione e si disperdono in salaci battute nei commenti online e nei social network, si lamenteranno domani di nuovo di Google, dell’NSA e di Facebook, e di “cosa fanno con i nostri dati”. Al momento, “i nostri dati” più riservati sono stati consegnati e sputtanati in tutto il pianeta da alcuni privati individui, per la soddisfazione di molti altri privati individui, e non si nota grande chiarezza in giro su chi siano le vittime e chi i cattivi, stavolta.

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16 commenti su “La privacy solo quando è la mia

  1. Pingback: La privacy solo quando è la mia | Wittgenstein | NUOVA RESISTENZA

  2. fulgenzio

    Ma davvero, il pezzo di The Verge (di solito ottimo) è troppo confusionario. Il giornalismo americano talvolta cavalca battaglie perse in partenza (penso alla lettera aperta degli sviluppatori di videogiochi che chiedono alla comunità ludica di essere meno cinica…see hai voglia, l’unico risultato che otterranno sarà quello di farla incazzare ancora di più). L’articolo postato da Francesco invece ha senso: oggi la privacy non esiste più, è un dato di fatto, ma bastano poche, semplici “contromisure” per vivere relativamente tranquilli.

  3. icybrand

    Se è vero che gli argomenti sono correlati, di certo avvicinarli così non aiuta la comprensione ne di uno ne dell’altro fenomeno.

    La vulnerabilità dei dati e metadati di milioni di persone di fronte ai propri ed altri governi è un problema di democrazia, di diritti, di sicurezza, di controllo, di libertà, di censura e autocensura, di manipolazione, etc. solo in ultima analisi anche di “privacy”.
    Il problema di cui sono state vittime queste celebrities è un problema di privacy, di sessismo e violenza, di dolo specifico e premeditato, di criminalità, di sicurezza dei propri account…
    e il problema dei media che saltano sulla preda facile (e nuda), beh, è evidente che questo non ha nulla a che fare con la sicurezza o coi dati, con le spie o con gli hacker, ma con il giornalismo e il suo funzionamento, ma non è proprio nulla di nuovo. dico solo “paparazzi” “intercettazioni” etc.

    Il commento su twitter di lena dunham mi sembrava appropriato:
    “Seriously, do not forget that the person who stole these pictures and leaked them is not a hacker: they’re a sex offender.”
    e
    “Remember, when you look at these pictures you are violating these women again and again. It’s not okay.”

  4. Qfwfq71

    Ho avuto una discussione con un commentatore del post proprio su questo atteggiamento che riscontravo notando come, il commentatore si vantasse da una parte di utilizzare senza alcuna remora le informazioni disponibili su facebook (o altri social) per giudicare i candidati per un lavoro, dall’altra di ritenere la sua vita privata un bene prezioso da tutelare (infatti si vantava di avere uno pseudonimo per difendere la sua privacy e di tenere il profilo FB ben chiuso agli estranei).
    La cosa mi è sembrata latentemente incoerente, inoltre mi è sembrato che il commentatore non cogliesse le sfumature tra i diversi media e contesti da cui raccoglieva informazioni (una opinione espresa in un social network come FB non ha lo stesso valore di una opinione espressa su un blog personale, per esempio).
    La mia idea è che nell’epoca della circolazione dei dati dobbiamo anche imparare a maturare una forma di autoregolamentazione, dando il giusto peso alle informazioni disponibili.
    Per fare un esempio, se io non costruisco un recinto intorno a casa mia, non per questo sei autorizzato ad entrare; alla stessa maniera se non alzo barriere e firewall sui miei profili, non è detto che sei autorizzato a farne l’uso che credi.

  5. wiz.loz

    Io non mi lamento della violazione della mia privacy da parte di Facebook, NSA, Google o altri, quindi posso guardare le foto rubate delle celebrities con meno vergogna?

  6. layos

    Ci sono altre categorie di persone che hanno la propria privacy invasa senza aver dato il proprio esplicito consenso, che sono ad esempio i nostri figli. Io sono (per dire) un padre che in modo assai discutibile pubblica foto e video dei propri figli senza pudore, con il trasporto e la vanità tipiche di un padre invaghito della propria progenie, ma sottovalutando il fatto che questi bimbi hanno una identità digitale senza praticamente averne nemmeno ancora una compiuta nel mondo reale.

  7. armilio

    Un po’ di straw man argument, qui.

    1) E’ dato per assioma che tutti (o quasi) quelli che si lamentano dell’NSA, delle violazioni della privacy, poi sono incoerenti e vanno a cercare le foto della Lawrence. Nerd come sono.

    2) Una cosa è l’hacker che viola la legge, un’altra sono compagnie come Google in diretto contatto con i governi. I primi non sono sotto il controllo di nessuno, sui secondi possiamo fare qualcosa.

  8. hdr

    A dire il vero episodi come questo sono la diretta conseguenza della cosiddetta intrusione nella privacy dei big di internet. La maggior parte delle persone utilizzano servizi cloud pensando che siano a costo 0, quando invece il costo che si paga è esattamente questa cosa qua. Se utilizzi un servizio cloud metti i tuoi dati -dalle proprie foto, alle proprie ricerche in internet, alla propria posizione geografica- alla mercé del fornitore di tale servizio, e alla potenziale mercé di tutti se tale servizio non è sufficientemente sicuro (o se sei abbastanza pirla da scegliere una password banale).

    In tutto questo l’NSA centra ben poco, lo scandalo dell’NSA deriva dal fatto che una agenzia governativa monitori illegalmente il traffico web di cittadini americani, cosa che non potrebbe fare, non di certo dal fatto che qualcuno ci legge le mail. Google ti legge le mail ogni giorno.

  9. rinko

    Il fatto è che quando ci teniamo alla riservatezza di qualche documento dovremmo in primo luogo attrezzarci per preservarla e non pretendere che non esistano al mondo curiosi/malintenzionati pronti a dare un’occhiata ed eventualmente rubare i nostri dati.
    Per fare ciò efficacemente, soprattutto se si è personaggi pubblici costretti loro malgrado ad avere a che fare con il rovescio della medaglia della popolarità, bisogna capire quali sono i limiti di sicurezza nei dispositivi e nelle tecnologie che si adottano quotidianamente.
    Mettere documenti personali nel proprio spazio cloud senza alcuna protezione (es. cifratura), magari per favorire una consultazione più veloce dei file stessi, significa scegliere di correre un rischio per ingenuità o pigrizia.
    Se io avessi dei file compromettenti o dovessi scrivere cose veramente confidenziali non chiederei all’NSA, a Google o al cracker di turno di non sbirciare, ma userei ulteriori accorgimenti (attuabili peraltro con programmi open source) per rendere la possibilità di accesso ai contenuti sensibili molto più remota.

    Ovviamente quanto non vuole in alcun modo giustificare le attività di chi, soprattutto se a scopi di lucro, viola la privacy delle persone.

  10. rinko

    @Qfwfq71

    Francamente nell’esempio da te citato mi sfugge perché sia strano che una persona, magari riservata, che deve assumere un dipendente tra n non dovrebbe considerare anche l’informazione reperibile in rete sui singoli candidati, social network inclusi, considerato poi che qui si tratterebbe di informazioni assolutamente pubbliche; non è un caso che si raccomandi, soprattutto a chi è in cerca di occupazione, di controllare anche la “rispettabilità” con cui emerge la propria immagine dal web.
    Poi certo, si dovrebbe dare il giusto peso a quello che si riesce a desumere da blog, pagine fb, tweets, etc. e capire anche il contesto in cui certe affermazioni vengono fatte, ma questo spetta a chi deve farsi un profilo dei candidati, valutandone limiti, punti di forza e potenzialità.

  11. Linux

    “E molti di quelli che le stanno affannosamente cercando online tuttora, o che ci cliccano a ripetizione e si disperdono in salaci battute nei commenti online e nei social network, si lamenteranno domani di nuovo di Google, dell’NSA e di Facebook, e di “cosa fanno con i nostri dati”.

    Presente!

    Eh si, il mondo è pieno di ipocriti.
    Meno male che c’è Luca Sofri che ce lo ricorda.

  12. Pingback: E se succedesse a tua figlia? Riflessioni sulle foto di Jennifer Lawrence

  13. steamerbag

    Privacy e controllo non sono la stessa cosa. La privacy è un diritto novecentesco, onestamente poco rivendicabile in un mondo digitale. Il controllo è una cosa diversa, più complessa: NSA non colleziona tutto quello che colleziona per voyeurismo. No di certo.

  14. splarz

    Dunque: siccome un hacker ha rubato foto imprudentemente gestite online allora il problema della nostra privacy non esiste? Ma che ragionamento è? E poi: equiparare hacker e società che senso ha?

  15. marcotini

    Personalmente sono convinto che avrebbe colpito molto di più la violazione di privacy, se avesse fatto notizia l’hackeraggio di centinaia o migliaia di persona… e non solo qualche foto di attrice o ragazza famosa! È normale che tutti siano interessati alla vita privata di Jennifer Lawrence, avendo dei fan, è normale che invadano la loro vita (non fraintendetemi, non intendo stalkereraggi). I fan si interesserebbero anche della loro lista della spesa, suvvia.

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