Le cose che si imparano

Un altro momento interessante della puntata di Di Martedì a cui ho partecipato la settimana passata è stato quando la professoressa Amalia Signorelli ha provato a mettere in un contesto culturale e storico la discussione sull’illegalità in Italia, cercando di spiegare la persistenza di corruzione ed evasione fiscale non soltanto negli sbrigativi termini di “ci vogliono pene più severe” (termini in cui la stavano mettendo gli altri ospiti della trasmissione). Dico che è stato interessante perché è stato interessante notare l’indignazione attonita di Matteo Salvini di fronte alla scoperta di una secolare analisi storica sulle differenze tra le tradizioni religiose protestanti e quelle cattoliche nel formare le civiltà nazionali. Cadendo dalle nuvole rispetto a questa consolidata analisi, Salvini – che pure ha fatto il Classico – l’ha descritta al pubblico presente come se fosse un intollerabile attacco alla religione cattolica, e un’accusa ai cattolici di essere corrotti “per natura”.
Evidenziando così ulteriormente la difficoltà di comprendere insieme le ragioni delle cose e cercarne le soluzioni a monte, piuttosto che con la sterile demagogia a valle del “buttiamo la chiave”: son tutti bravi a buttar via le chiavi in quando i buoi sono scappati.

(incollo qui sotto un passaggio di Un grande paese, che se passa Salvini magari vede che quell’analisi è cosa piuttosto nota)

Quelli che cercano una spiegazione allo scarso attaccamento degli italiani all’Italia e alla convivenza civile e orgogliosa di solito citano alcune vicende storiche. La mancanza della Riforma, per esempio. Il nostro essere rimasti un paese cattolico, ospite del Vaticano e del papa, e cattolico nel modo più pigro ed egoista: di quel cattolicesimo fatto di indulgenze e perdoni ideali e che trascura la concretezza delle regole e delle condotte. Quello che le religioni protestanti hanno insegnato in altri paesi in termini di rettitudine, responsabilità, rigore, ruolo della comunità, qua non l’abbiamo visto. Abbiamo amato molto il Signore e poco il nostro prossimo, abbiamo detto molte Ave Maria, e abbiamo rimpiazzato la comunità con la famiglia, con tutto il suo sistema di deroghe e contraddizioni: al punto che «la famiglia» è diventata il modello delle organizzazioni criminali avversarie dello Stato¹, ovvero della comunità principale.

 

¹«Questo è un Paese che da sempre non ha senso dello Stato perché lo Stato gli fa senso. Dai più viene percepito come un padrino insolente cui siamo costretti a versare il pizzo sotto forma di tasse e chiunque riesca a sottrarsi alla corvée è percepito quasi come un eroe. L’idea di appartenere a una comunità più vasta di una casta ci è sconosciuta. L’omertà di massa nasce da qui. Non tanto dalla mancanza di coraggio, ma da una compiaciuta ignoranza del proprio status di cittadini che dovrebbero avere una sola famiglia, lo Stato, e un solo confine, la legge» (Massimo Gramellini, «la Stampa», 26 marzo 2010).

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2 commenti su “Le cose che si imparano

  1. RaelIAK

    io temo il “buon” Salvini abbia memoria di tutto ciò, per studi personali e per il fatto che non può essere stupido e gretto come tiene a dimostrare. È che prendere la posizione di chi certe cose neanche le capisce, e contestualmente cogliere la ghiotta occasione di difendere il cattolicesimo a costo zero, piaccia o non piaccia paga, in termini elettorali.
    Io trovo la dottoressa Signorelli sempre puntuale ed interessante, divertente e straordinariamente calma. Ma non è con le sue analisi che si può scalfire l’elettorato spaventato; quello giustamente descritto come dell’ “a valle”. Non tocca a lei; non tocca neanche al peraltro direttore.
    In attesa di soluzioni migliori, tocca stare a guardare chi “vince” tra i prospettatori di magnifiche sorti (Renzi, e Berlusconi prima di lui) e i mestatori di inquietudini (Grillo e Salvini).

  2. Lazarus

    Gli italiani non si sentono cittadini perché non sono mai stati trattati da cittadini bensì sempre da sudditi, una dinamica politica che è arrivata alla sua espressione più compiuta con questo governo. Del resto è questo il Governo che più di altri ha rimpiazzato il bene della comunità e il dialogo attorno al bene stesso con le regole e le necessità della “famiglia” ristretta (mi pare si chiami oggi cerrchio magico o qualcosa del genere), quindi mi pare ovvio che i cittadini (che cittadini non sono) si adeguino di buon grado. Gli italiani non sono “ignoranti del proprio status”, è che si sono abituati a reagire in questo modo al mancato riconoscimento del loro status. Non siamo una democrazia, ma solo un simulacro.

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