Quella cosa delle fonti

La lezione preziosa di questa storia è che ora ci possiamo domandare: se è andata come è sospettabile, quante altre volte leggo sui giornali notizie che arrivano strumentalmente da fonti interessate? E possiamo spiegare quanto sia importante quello che a molti giornali sembra un rigido capriccio, ovvero l’attribuzione alle fonti (anche fonti anonime, ma definite, rivendicate, contestualizzate): perché chi scrive si assuma la responsabilità di un fatto e ne indichi i confini di credibilità. È il solo modo per avere un’informazione affidabile oppure per non diventare stupidamente paranoici e dietrologi e non fidarsi più di niente (che è l’ingenuità speculare a quella di credere a tutto).

Il giornalismo dei “circola voce”, “pare che”, “risulta”, non è giornalismo: è fiction, o Facebook. I giornalisti e i giornali sono responsabili della credibilità di quello che pubblicano: altrimenti incollare qualunque cosa e inventare qualunque cosa è capace di farlo chiunque, e hai voglia a dire “la professionalità dei giornalisti”. Se tu lo pubblichi, ritieni di avere sufficienti garanzie che sia vero: se non lo ritieni ma pensi sia importante, allora condividi i tuoi dubbi e i limiti di quella informazione, insieme all’informazione stessa. E se decidi che quelle fonti debbano restare anonime, devi averne una ragione: che ragione di timore ci può essere per la fonte di un dato di fatto che dovrebbe essere pubblico e verificabile? (e che dovresti avere facilmente verificato prima di pubblicarlo, se non ti basta la testa a capirne l’implausibilità e la natura).

A lavorare in questo modo, assumendosi responsabilità, definendo le fonti, diffidando degli interessi delle fonti – non c’entrano i singoli cronisti, ripeto: è una cultura di cui è mandante tutto il sistema dell’informazione italiana e chi ne ha maggiori responsabilità; nei giornali stranieri seri li licenziano, come approccio, e prima gli hanno insegnato che non si fa – quella notizia non sarebbe mai uscita. Ma siccome lavorare così in Italia è vissuto come un rigido capriccio (“eddai, tu non sbagli mai?”), ai lettori tocca stare all’erta ogni giorno.

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Un commento su “Quella cosa delle fonti

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