Musica sacra
Luca Sofri

Donna, settembre 2004

Passo davanti alla chiesa e sento una musica. Ci passo spesso, davanti, e a volte entro: è una chiesa piccola, bella e disabitata. Oggi entro per via della musica. È un violino, solo un violino, e qualcuno lo sta suonando da qualche parte: non è una registrazione. La chiesa è vuota, la musica è assai vivace e appassionata, arriva da qualche parte sopra la mia testa, ma non capisco dove. No, non è sopra, è alla mia destra. Credo, almeno, perché non vedo nessuno. Cammino su per la navata centrale, e la musica riempie tutta la chiesa e rimbalza sotto le volte. E dove la fila delle colonne si districa e mi permette di vedere, nella penombra, vedo una figura scura di fronte a un altare minore, da cui incombe una madonna dorata, di legno. La figura è di spalle, un uomo; un uomo robusto, tarchiato, calvo; sta suonando un violino, con passione e concentrazione, si muove su e giù di qualche passo, avanti e indietro, verso l’altare e poi da una parte, con la testa curva sul violino. La musica ora è molto forte, e pare dolorosa, ma sempre accesa: pare una protesta, un lamento pieno di rancore. L’uomo suona e si muove, avanti e indietro. Mi siedo su una panca a qualche metro.
Sto lì e ascolto, inebriato come si dice. Comincio a chiedermi cosa ci faccia lì, nella chiesa deserta, quell’uomo. Perché stia davanti a un altare laterale, perché continui a suonare, chissà da quanto. Cerco di immaginarmi la storia, e mi domando se avrò il coraggio di chiedergliela, la storia, quando a un certo punto smetterà di suonare, e si accorgerà di me quaggiù. Ma intanto suona, e la chiesa risuona. C’è qualcosa di penoso, e commovente: quest’uomo ha perso sua moglie, in qualche circostanza terribile e inattesa. L’amava moltissimo e il cielo gliel’ha tolta, senza una ragione né un motivo, senza niente. E da allora ogni anno viene qui e scatena il suo dolore per una giornata intera, chiedendo ragione al cielo, suonando con più passione di ogni suo concerto: quest’uomo è un musicista professionista. Era giovane allora, adesso non ha più capelli in testa e forse è un po’ curvo, o è il violino.
E intanto suona, e io sono lì, immobile. E all’improvviso un suono nuovo. Un trillo. Un altro trillo. L’uomo si interrompe, lievemente, posa il violino con delicatezza sopra l’altare, e estrare dalla custodia aperta un apparecchio scuro che si porta all’orecchio. “Pronto”, dice. E comincia a parlare. Così si gira e mi vede, ma mi ignora. Io mi alzo ed esco, mentre lo sento discutere dei dettagli del concerto parrocchiale che si terrà in questa stessa chiesa tra un paio d’ore.
Meno male.