Embrioni e ammalati, alleati
Adriano Sofri

Il Foglio, 28 gennaio 2005

Caro Giuliano, scrivo mentre ancora va in onda la puntata di Otto e mezzo dedicata agli embrioni. Mi sono già messo a scriverti perchè mi pare che la trasmissione abbia ospitato un colpo di scena. A questo punto, se non sbaglio, tocca a te fare alcune ammissioni capitali. Chiamo colpo di scena, dal tuo punto di vista, il breve e tranquillo intervento del prof.Cossu, il quale ha spiegato che le cellule embrionali cosiddette sovrannumerarie (300.000 nel mondo, 25.000 circa, secondo lui, in Italia, mentre per lo più si dice 30.000) finiscono per trovarsi, salvo una infima percentuale, nella condizione di cellule cadaveri, del tutto equivalente ai corpi cadaveri donatori di organi; dunque impiegabili per la ricerca, e l'eventuale utilità terapeutica, con almeno altrettanta autorizzazione morale. Non solo: il prof.Cossu ha detto che con gli embrioni già congelati, e destinati altrimenti alla dissipazione, i laboratori del mondo potrebbero sviluppare la ricerca per i prossimi trecento anni. Tutto questo, in me che ritenevo “pazzesco” (così l'ho chiamato qualche giorno fa in questa piccola posta) il divieto di svolgere la ricerca sugli embrioni “sovrannumerari”, ha ribadito formidabilmente una convinzione insieme profana ed evidente. Che effetto ha avuto su te? Mi sei sembrato infatti tu stesso colpito. Da molto tempo seguo con un vero sconcerto e, per così dire, dolore, l'oltranzismo della campagna condotta dal Foglio -pur con voci contrastanti- cresciuto strada facendo come una valanga. Per esempio, si può convenire che a volte l'impegno di alcuni radicali sulla speranza terapeutica suscitata dalle cellule staminali embrionali rischi un tono miracolistico, o che a volte, nella foga polemica, sembri sottovalutare l'attenzione ai limiti della scienza, ma è un fatto che quell'impegno ha il merito poco meno che esclusivo, e oggi misurabile, di aver rimesso in causa una legge dissennata, e una filosofia ancora più dissennata che la ispirava. Tu stesso facesti prevalere, con una forzatura già allora difficilmente comprensibile, una questione di principio che ti stava sommamente a cuore -diciamolo così: la fissazione della frontiera più rigorosa all'intangibilità della vita umana- sull'evidenza delle sciocchezze e delle cattiverie (maschiliste, oltretutto) della legge. Vorrei assicurarti che sono spaventato a mia volta dalle mirabolanti spregiudicatezze della scienza e dell'ingegneria e dall'espropriazione dell'umanità che è alla loro portata. Ti citerò, a testimonianza di una sensibilità senz'altro d'eccezione, ma insieme lungamente partecipe della mia stessa storia, un articolo di Alexander Langer sul Manifesto, che risale addirittura al 1987, sulla bioetica e la manipolazione genetica, dal titolo eloquente (e ghiotto per te, che vorrai forse ripubblicarlo): “Cara Rossanda, e se Ratzinger avesse qualche ragione?” Io mi ricordo anche di aver sentito parlare delle cellule staminali in genere ed embrionali in specie per la prima volta ormai tanti anni fa, non da scienziati ma dai radicali, compreso il nostro vecchio amico Pannella, e di aver avuto a tutta prima l'impressione che si trattasse di una specie di tic -una strampaleria di militanti in cerca di nuovi appigli. Ci misi un po' a rendermi conto del rilievo della cosa, aiutato anche da persone competenti cui i radicali davano allora voce, come Elisabetta Caporale, e nel mio ricordo successe qualche cosa del genere anche a te, che ospitasti quei temi e quelle voci con un interesse ancora per così dire impregiudicato e preliminare. Questo per dire che la simmetria fra Madonna di Civitavecchia e culto radicale delle staminali embrionali era una brillante trovata pubblicistica, ma non teneva. Tu, credo, hai deciso di sacrificare alla “guerra culturale” per la (buona) autorità, la (buona) tradizione, il coraggio delle proprie convinzioni e della propria fede, e l'onore militare, di sacrificare la pazienza delle distinzioni e delle attenzioni al merito, come una zavorra insopportabile in tempi estremi. La trasmissione, che ora è finita, me ne ha dato esempi forti, benchè la tua conduzione di stasera si sia fatta più duttile man mano che le cose venivano dette. Intanto, e non per un ennesimo omaggio all'etichetta, strideva un po' che i quattro ospiti della puntata fossero tutti maschi, su un tema per il quale io sento ancora un fortissimo imbarazzo a parlare, sia pure dubbiosamente, per paura di una voce di donna che mi dica: “Zitto, stronzo!” (Non penso di essere così stronzo, ma so di essere maschio, e c'è quella storia dell'embrione che per continuare il suo cammino deve giocoforza entrare in un utero, cioè in un corpo di donna, diventando quel corpo di donna). Ti rimprovero di aver citato Boncinelli (mi piace Boncinelli, mi fido di lui, con giudizio) solo per la frase sull'incontro del seme e dell'uovo che segna l'inizio della vita, ovviamente confermata dal prof.Cossu, e da te ripetuta come una tautologia lapalissiana: la fecondazione coincide con l'inizio della vita. Però non di questo si trattava, bensì della coincidenza, che hai dato per sottintesa, fra vita umana e persona. Tanti giochi di parole si sono giocati. Hai reso celebre il ricciolo di materia: espressione anche lei nient'affatto ignobile, e perfino graziosa, se si riconosca l'inizio di vita in quell'arricciarsi. Quando il presidente Pera ha spiegato quale definizione scientifica gli paia più affine alle sue predilezioni filosofiche e morali, e i giornali hanno intitolato: “Pera: l'embrione non è una muffa”, hanno mancato, temo, il punto più importante, perchè Pera ha detto: “Non è una muffa, è una persona”. Vasto tragitto. Io avrei preferito non pronunciarmi su questo punto, perchè conosco la mia ignoranza, ma non voglio apparirti codardo, e dirò che non riesco a credere che l'embrione sia una persona, e che ne abbia gli stessi diritti, e che dunque la distruzione di un embrione sia un omicidio. Non ci riesco affatto. All'obiezione di Socci -in che punto compare la persona- rispondo: Non so, vediamo, più tardi comunque; e rimando a Boncinelli. Fra un seme versato peccaminosamente -che, dopo un incontro col suo uovo, sarebbe diventato vita umana, col nome e il cognome, come ti piace ricordare- e una persona, c'è appunto quel cominciare di una vita umana: che va maneggiata con cura, rispetto e cautela, ma altra cosa è il tentato omicidio.

Sono contento di aver visto e ascoltato il signor Brunetta: se no sarebbe rimasto per me un'opinione energica, e quello slogan, “Brunetta c'è”. Era stato uno degli argomenti per me più incomprensibili -“pazzeschi”- della tua campagna. Il signor Brunetta infatti c'è: e la sua esistenza lo rende prezioso, rispettabile e amabile, e non nonostante la sua talassemia, ma ancora di più per la sua talassemia. Mai equivoco mi è parso più inspiegabile e futile. Chi auspica la libertà di ricerca e spera nei suoi risultati terapeutici è mosso proprio da questo speciale amore e rispetto per il proprio prossimo reso invalido o sofferente e minacciato da una fine precoce. Parliamo del prossimo, io e te, solo provvisoriamente, beninteso, perchè da un momento all'altro possiamo cadere dall'altra parte, come è successo a Luca Coscioni, e agli innumerevoli altri. Non c'è nessun rifiuto della natura, nessuna devozione all'artificiosità, nessun capriccio del desiderio nella lotta per ridurre la sofferenza, l'invalidità, la morte precoce. Il signor Brunetta ha ripetuto: “Non so che cosa avrebbero fatto i miei genitori se avessero disposto dei mezzi scientifici per prevenire la talassemia ereditaria, so che io non sarei nato, e oggi non ci sarei”. L'aporia logica, prima che il malinteso morale, è vistosa. Brunetta c'è, appunto. Che cosa farebbe il signor Brunetta, che cosa farei io, che cosa faresti tu, e soprattutto le nostre compagne, se sapessimo far nascere la nostra creatura senza la condanna alla talassemia -o a malattie genetiche molto più devastanti? Io non esito a rispondere. Non dire che voglio togliere la malattia il dolore e magari la mortalità dal mondo, e di questo passo arrivare alla selezione della specie. Non voglio togliere l'imperfezione dal mondo, al contrario: mi batto perchè la mia sezione comprenda stranieri e malati di tutte le epatiti e di hiv, e sarei tristissimo se venissimo separati. Però vorrei che l'aids fosse prevenuta e guarita, che i bambini non nascessero con la condanna statistica ineluttabile alla corea di Huntington, che la sclerosi fosse curata e il Parkinson fosse tenuto a bada, lasciando che fin troppe altre meravigliose differenze e terribili dolori attraversassero il genere umano e gli altri esseri viventi.

Hai ancora il tempo e la pazienza per riprendere il filo delle distinzioni e delle scelte di merito? Ti sei schierato per il referendum, ed è un bel merito. Una prova di spirito democratico. Però l'hai fatto anche perchè cerchi, ormai un po' metodicamente, lo scontro frontale, che ti sembra limpido. Mi dispiace, perchè io preferisco (ma stando attento a che non mi prenda la mano, non diventi a sua volta metodico) l'incontro e l'accordo: anche da te e dal Foglio mi aspettavo, a suo tempo, un'intenzione di questo genere, rimescolamento di carte e ricomposizione, una cosa di sinistra, insomma, di sinistra libertaria e antidogmatica. E' certo che senza referendum (e senza radicali: l'intendenza della sinistra costituita, salve eccezioni, ha lentamente seguito) la legge non sarebbe stata corretta: infatti non fu aperta ad alcuna correzione, neanche di fronte alle più palesi e brutali assurdità, come per la cosiddetta diagnosi preimpianto e l'impianto forzato in utero. Il prof.Vescovi ha detto cose suggestive, a proposito degli interessi economici, o del gusto per la via facile, che fanno sottovalutare la ricerca sulle cellule embrionali delle scimmie. Ma le abbiamo sentite perchè c'è un referendum. Finisco. Non ti chiedo di darmi ragione. Mi ricordo di una cosa molto lusinghiera che Randi dice di te: che non vuoi cambiare le persone con le quali hai a che fare. Ci proverò anch'io, che viceversa ho forte la tentazione opposta. Però mi piacerebbe che tu cambiassi idea. Almeno su una cosa, come premio di consolazione: sull'assurdità, e il dispiacere, di opporre i veri o supposti diritti dell'embrione ai diritti degli ammalati. Sulla bella idea di vederli alleati.