Choke
Chuck Palahniuk
Doubleday
294 pagine
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"Se state per cominciare questo libro, lasciate
perdere. Dopo un paio di pagine vorrete non averlo fatto. Quindi
scordatevene. Andate via. Uscitene finché siete tutti
interi. Mettetevi in salvo. Ci sarà senz'altro qualcosa
di meglio in televisione". L'inizio di "Choke"
non è particolarmente originale ma ha lo stesso qualcosa
che si riconosce da subito. L'autore ha guadagnato fama e quattrini
grazie al film con Brad Pitt che si fece del suo "Fight
Club", storia di eccessi machisti ambientata in un futuro
assai prossimo. In questo "Choke" gli somiglia: gli
eccessi sono distribuiti a piene mani e al tempo stesso del tutto
plausibili. Il protagonista, Victor Mancini, frequenta un gruppo
di riabilitazione per maniaci sessuali che già costituisce
un modo di descrivere abiezioni e dipendenze straordinarie, con
particolare attenzione al sesso occasionale nelle toilettes degli
aerei e alle inserzioni rettali. Il corso prevede, come punto
quattro di dodici, che si trascriva una ricostruzione della propria
dipendenza, e da qui viene il libro. Dentro ci finiscono: l'infanzia
sciagurata di Victor con una madre ecoterrorista ante literam,
la sua pratica di soffocamento (choke) nei ristoranti per essere
poi salvato da qualcuno che gli vorrà bene e lo aiuterà
economicamente per la vita, il lavoro da servo in una ricostruzione
per turisti di un villaggio del 1734, il mantenimento con queste
entrate della madre ricoverata in un ospizio gonfio di rimbambimenti
senili, cibo masticato e incontinenze, una imprevista love-story
con una misteriosa dottoressa, la progressiva scoperta di essere
nato dalla clonazione di una cellula del prepuzio di Gesù
Cristo e quindi di essere Gesù reincarnato. Ce ne sarebbe
abbastanza senza che ci sia bisogno di dire che tutto questo
viene con eventi e dialoghi al tempo stesso assai sgradevoli
e spiritosissimi. Con una sola delle dieci situazioni che Palahniuk
immagina in "Choke" ci si potrebbe fare un libro.
Le situazioni sono esilaranti e la loro abiezione è spacciata
come del tutto normale. Il sesso come "addiction",
dipendenza, la fa da padrone, senza che nessun giudizio morale
venga espresso, se non in un finale inaspettatamente sentimentale
e improvvisamente monogamico. "Voglio dire, cosa c'è
di meglio del sesso? Di sicuro anche il peggiore pompino è
meglio per esempio che annusare la rosa più bella del
mondo o guardare un tramonto straordinario. O veder ridere i
bambini. Non credo che leggerò mai una poesia così
dolce come un caldo, formidabile, esplosivo orgasmo". Attorno
alle quotidiane peripezie del protagonista, si srotolano quelle
del suo amico Danny, che passa da una dipendenza all'altra, concentrandosi
a lungo sulla raccolta di sassi che ammassa in ogni angolo della
casa del suo ospite. E che così racconta la meraviglia
della sua prima masturbazione adolescenziale: "Pensai di
averla inventata io. Guardavo quella mia robetta e pensavo: c'è
da diventarci ricchi, con questo". Victor capisce un po'
alla volta di aver bisogno sopra tutto di essere necessario a
qualcuno, sia sua madre o Denny, ripetendo invertito il rapporto
con i suoi occasionali salvatori da soffocamento.
Tutto questo fa un romanzo di 280 pagine scritto da uno che sa
scrivere e dotato come si vede di una fantasia piuttosto straordinaria.
A tratti misogina ma straordinaria: "Non abbiamo bisogno
delle donne. Il mondo è pieno di altre cose con cui fare
del sesso, provate ad andare a una riunione di sessodipendenti
e prendete appunti. Meloni passati nel microonde. Maniglie del
tagliaerba. Aspirapolveri e poltrone a sacco. Siti internet.
E tutti quei poliziotti che nelle chat fingono di essere ragazzine
di sedici anni. Davvero, quelli dell'FBI sono i più eccitanti". |