Questa terra è la mia terra. La bandiera no
|
Signor direttore, c'è questa
cosa della bandiera tricolore e il fatto che le siamo poco affezionati.
Io posso parlare per me. Che vado matto per questo paese, ringrazio
il cielo di esserci nato, sono contento della superiorità
della sua cultura e anche dell'inferiorità della sua cultura,
mi tengo molti dei suoi malanni e mi lamento di altri, sono curioso
e appassionato della sua storia, condivido quasi tutte le sue
leggi, cerco di rispettarle tutte, pago le contravvenzioni senza
fiatare, mi piace Totò, non sono un antiferrarista e sono
contento quando facciamo bella figura, siano i mondiali di calcio
o un premio Nobel o un centro storico reso pedonale. Mi piace
l'Italia, mi piacciono i suoi posti, le sue persone con
le lecite eccezioni -, e anche la sua costituzione, ora che ho
dovuto studiarla per l'esame da giornalista. Malgrado le norme
transitorie, ma ci torno dopo. Di terra bella uguale non ce n'è,
per dirla con il mio fiero connazionale Toto Cutugno: ce ne sono
altre molto belle, ma diverse.
Eppure della bandiera non me ne importa niente. E neanche della
Patria, nel senso del concetto di Patria (né dell'inno,
ma di quello sembra sia più lecito infischiarsi). E ho
provato a chiedermi perché. Le risposte sono diverse,
credo, e due principali. La prima è che non riesco ad
adeguarmi a quel che di solenne, vuoto e disciplinato ci è
stato rifilato per decenni a proposito di patria e bandiera,
simboli. Il crollo delle ideologie pare aver lasciato in vita
le simbologie. Che una maglietta del Che, una spilletta di Forza
Italia o una bandiera tricolore debbano emanare significati più
alti che non i comportamenti delle persone, i loro affetti e
i loro valori reali, mi pare una stupidaggine. Va bene che predicare
bene è importante quanto razzolare, ma cosa predica un'alzabandiera?
D'Azeglio e Pietro Micca, pace all'anima loro, non mi sono da
esempio più di Thomas Jefferson e Gandhi. Se i giovani
italiani anche quelli che non passano i pomeriggi a fare
la vasche sui corsi cittadini - non sentono un particolare trasporto
per la bandiera ha anche a fare con la scarsa attualità
dei valori di cui la si vuole portatrice: l'indipendenza? L'orgoglio
nazionale? Le conquiste di una classe politica che non dava il
voto alle donne? O quelle di una monarchia che aborriamo tanto
da aver pensato per lei una norma costituzionale anticostituzionale?
È comprensibile che la azzurra bandiera europea e la sua
immagine di cosmopolitismo europeo e modernità attiri
maggiori riconoscenze. E invece ancora oggi si mena uno scandalo
savoiardo: le bandiere sui pennoni degli uffici pubblici sono
logore e impolverate? Non mi pare un gran dramma, e le bandiere
logore e impolverate sono anche più belle di quelle nuove
e scintillanti. A meno che non ci si attacchi di nuovo alla vana
simbologia della polvere. Già far risalire uno scarso
attaccamento al paese dalla distrazione degli spolveratori di
bandiere mi sembra forte. Ma non crescerà, quest'attaccamento
anelato, con una baldanzosa campagna nazionale antipolvere. Libro,
moschetto e Fabello.
C'è poi una seconda ragione, ed è quella legata
all'espressione "il mio paese". Io credo che questo
sia il mio paese, lo credo nel senso in cui dico che mio fratello
è mio fratello e il mio codice fiscale il mio codice fiscale.
L'aggettivo possessivo si riferisce a qualcosa che non possiedo
per niente, e su cui non ho alcun diritto di proprietà:
mio fratello non è mio. L'Italia non è mia. È
la cosa non l'unica che mi è sembrata più
presuntuosa nel lungo e importante articolo di Oriana Fallaci
di cui si parla. "Vogliono regalargli l'Italia. E io l'Italia
non gliela regalo", diceva, vado a memoria, a proposito
degli arabi e degli stranieri. Ora, né io né Oriana
Fallaci né nessuno ha fatto niente per meritarsi un millimetro
quadrato di questa terra più di qualunque dei sei miliardi
di persone al mondo. Se qualcuno è nato italiano, gli
è capitato per caso e per fortuna senza nessun titolo.
Dovrebbe ringraziare il cielo e non permettersi un momento di
trasformare questa fortuna in una pretesa a danno degli altri.
Lo sforzo l'hanno fatto forse i suoi genitori, e per questo noi
figli ci godiamo cittadinanza, diritti, voto, eccetera. E ci
dovremmo accontentare. Invece il tipico pretendere privilegi
in nome dei propri natali ha come tipico contraltare l'atribuire
torti con lo stesso pretesto: Emanuele Filiberto paga con questa
stessa assurda ragione il suo dire fesserie a ogni intervista.
Ma se la legge vuole che i cretini stiano fuori dai confini,
la sua attuazione mi pare un po' lacunosa. La pretesa di negare
agli altri la nostra fortuna in nome del fatto che noi l'abbiamo
ricevuta e loro no, è una cosa piccina e ignorante (poi
di fatto avviene, per ragioni quantitative di convivenza: ma
decide la comunità, sulla base di queste ragioni, e non
io da solo). Perché diavolo dovrei pretendere che sia
mia la città dove vivo solo perché non mi è
capitato di nascere a Dakar o a Valona? Se siamo riusciti finora
a goderci Firenze, Napoli e persino Carugate senza doverle dividere
con quelli che sognano di godersele come noi e ne avrebbero ogni
diritto, ringraziamo Iddio e speriamo che non ce le tolga. Ci
è andata bene. |