Parole, pietre e primi emendamenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Parole e pietre. Dibattito che si ripete a ogni parola di troppo, a ogni pietra di troppo (ogni pietra è di troppo). Ogni volta pare di averlo già sentito, ogni volta esattamente uguale a quello che si disse la volta prima, nuove parole che servono solo ad attribuire le pietre alle parole di qualche dirimpettaio, e poi tutti di nuovo al loro posto e segna un punto sulla mia casella.
In America, non è così (certo, in America non è quasi mai così). La discussione usa meno metafore e accuse e più regole e soluzioni. Là si parla del Primo Emendamento, non di parole e pietre: ma per capirsi, il Primo Emendamento è quella legge che stabilisce quali parole sono parole e quali sono pietre. Quella legge che difende la libertà di parola e che dice che nessuno deve poter essere perseguito per quello che dice o scrive, a meno che questo non costituisca un pericolo chiaro, diretto e specifico: e questi attributi sono configurati piuttosto dettagliatamente. Malgrado questo, i tribunali sono chiamati spesso a giudicare se tali criteri siano stati superati o no da interventi pubblici particolarmente violenti, e i giudizi sono molto delicati e seguiti, perché creano ogni volta dei precedenti importanti per quel che sarà dopo.
"Di solito sono dalla parte della libertà di parola ogni volta che si discute un caso che ha a che fare con il Primo Emendamento, ma questa volta credo che la Corte d'appello federale del Nono distretto abbia avuto ragione nel condannare i militanti antiabortisti della American Coalition of Life". Questo parere di John Leo, commentatore del settimanale US News, riassume il dilemma in cui si trovano anche gli osservatori progressisti, dall'11 settembre in poi, a proposito del Primo Emendamento. Il caso è estremamente spiacevole e odioso: un gruppo di fanatici antiabortisti cura da alcuni anni un sito internet - "The Nuremberg Files" - in cui si definisce l'aborto "macelleria di bambini" e dove sono elencati i nomi di tutti coloro che sono ritenuti corresponsabili di questa "satanica" attività: madri, padri, medici, avvocati, giudici, giornalisti, deputati, infermieri. Assieme a una descrizione delle presunte responsabilità, per molti di loro sono citati indirizzi, numeri di telefono, luoghi di lavoro, e persino nomi dei familiari. Le facce di alcuni medici sono state incorniciate in riproduzioni di manifesti genere vecchio west: "ricercato vivo o morto". Alcuni di loro sono effettivamente stati uccisi per il lavoro che facevano, e portano una croce sopra il manifesto relativo o hanno il nome barrato da una riga. I manifesti esistevano da prima che venisse creato il sito, e nel 1995 quattro medici dell'Oregon che vi erano stati raffigurati, assieme a un'associazione che si occupa di assistenza alle famiglie - Planned Parenthood - denunciarono gli autori, la American Coalition of Life. Una giuria di Portland diede ragione ai medici nel 1999, ma l'anno scorso una corte federale di tre giudici annullò quella sentenza e attribuì ai Nuremberg Files la protezione del Primo Emendamento. Adesso, il mese scorso, una corte federale d'appello ha votato - 6 contro 5 - di nuovo per la condanna degli antiabortisti. La causa arriverà alla Corte Suprema, dove secondo John Leo il Primo Emendamento potrebbe avere una valutazione più estensiva, e dovrebbe prevalere il fatto che non ci sia identità tra chi opera il sito e pubblica le minacce e chi le ha portate a compimento uccidendo alcuni medici antiabortisti (James Kopp, accusato di essersi appostato fuori dalla casa del dottor Slepian il 23 ottobre 1998 e di averlo ucciso centrandolo con un colpo di fucile attraverso la finestra della cucina, è stato appena estradato negli USA dalla Francia dove era stato arrestato). I difensori degli antiabortisti si richiamano al fatto che sul sito non si trovano minacce definite e puntuali, ma solo auspici infernali o di una non identificata giustizia che dovrebbe colpire gli accusati: tutto materiale da Primo Emendamento. Il precedente più forte e citato è quello dell'attivista nero Charles Evers che nel 1969 venne assolto dopo aver minacciato di "rompere il collo" ai neri che non avessero boicottato i negozi dei bianchi in Mississippi. Ci furono aggressioni e spedizioni punitive, ma Evers fu protetto dal Primo emendamento: nessuna minaccia specifica. Ma da nove mesi le cose sono cambiate. "Immaginate un sito che si chiami JihadFiles.com, creato e gestito in Michigan. Immaginate minacce di morte agli infedeli e la celebrazione degli assassini di americani. Immaginate liste dei morti delle Twin Towers e del Pentagono, con delle croci sui loro nomi. Immaginate il vostro nome accanto a quelli. Il vostro indirizzo. L'indirizzo delle scuole dei vostri figli. La vostra foto e il vostro numero di targa. Certo, non sarebbe una minaccia specifica. Sarebbe una mappa per il primo sicario di Al-Qaida che passi dalle vostre parti". Queste sono le considerazioni che all'indomani della sentenza ha fatto Dahlia Litwick di Slate. Molti commentatori hanno superato un confine fragile e hanno detto: la condanna degli anti abortisti non sembra costituzionalmente legittima al cento per cento, ma suona istintivamente giusta. Altri temono che sentenze come questa aprano la strada a interpretazioni restrittive e illibertarie di altri valori fondamentali: ma è vero che un conto è sbattere le persone in gabbie da polli a Guantanamo, un altro è chiudere un sito internet, se si ha il senso della misura. Conclude Lithwick: "Sostenere che le parole su un manifesto siano solo un legittimo intervento politico è di certo la migliore posizione da tenere, se quello che ci interessa è solo la difesa di un libero dibattito. Ma non possiamo più permetterci simili illusioni. Come è scritto nella sentenza, "con l'essere stati raffigurati su quei manifesti il dottor Gunn, il dottor Patterson e il dottor Britton non possono più parteciparvi, al dibattito". Vediamo di non diventare così protettivi con le parole o così schiavi delle regole da renderci ciechi alle intenzioni di quelli che se ne fregano, delle parole e delle vite".