Che Wittgenstein mi perdoni

 

Luca Sofri
30 gennaio 2003

 

 

Mettiamo che un colto e serio studioso di filosofia faccia una ricerca su Google – il motore di ricerca – per trovare cosa c’è in italiano su Ludwig Wittgenstein in tutta internet. Il primo risultato della lista, il primo di 12mila risultati, è il mio weblog, che si chiama Wittgenstein, e che non credo abbia mai citato il sommo Ludwig una volta in un anno e mezzo (il secondo e il terzo risultato, sono pagine del mio weblog). Questo da una parte mi imbarazza al cospetto della comunità accademica, dall’altra mi aiuta a spiegare come sta andando il weblog. Google infatti espone i risultati della ricerca in ordine di popolarità, in base a una serie di criteri.

Un weblog, lo abbiamo spiegato sul Foglio già diverse volte, è un sito internet personale, che può essere fatto in molti modi, ma nella maggior parte dei casi si può definire come un incrocio tra una rassegna stampa e una rubrica di commento. Il titolare la aggiorna quotidianamente o quasi, e ci mette tutto quello su cui vuole dire la sua, o segnalazioni su cose che ha letto in giro, raggiungibili nel giro di un clic.
Quando mi imbattei nei primi weblog, americani, mi ero già appassionato a progetti su carta e in rete di selezione dei testi giornalistici e non. L’idea era che sia molto più importante e efficace orientare la lettura a quello che viene già pubblicato ogni giorno in tutto il mondo, che non produrre scritti ulteriori. I casi italiani del Foglio del lunedì e di Internazionale vanno con successo in questo senso. Su internet, dove le cose accessibili sono sterminate, questa è una direzione che è stata importante da subito. Il weblog è stata un’idea nuova su questa strada, perché aggiunge la personalizzazione e il rapporto di fiducia e complicità tra autore della selezione e lettori (in alcuni casi di amicizia, mi azzardo a dire).

Quando un anno e mezzo fa compilai le prime entrate (o post: le voci immesse ogni giorno) del mio weblog avevo deciso di chiamarlo Wittgenstein perché il nome evocava una solennità pensosa (malgrado la scatenata immaginazione del più noto titolare) che mi pareva spiritosa se confronata alla leggerezza e vanità delle cose che avrei scritto. Per molti mesi fu visitato da non più di cinquanta-cento lettori al giorno, per passaparola, o legami di parentela. Poi il direttore del Foglio fece due cose impreviste che ne determinarono uno scarto di seguito: mi propose di fare un programma in tivù e ascoltò per cinque minuti (il massimo della sua soglia di attenzione) la mia spiegazione del weblog, acconsentendo a trasferirlo anche sul sito del Foglio. Siccome la comunicazione vale più di ogni altra cosa (ci sono weblog ottimi e migliori di Wittgenstein che non conosce quasi nessuno), credo che oggi Wittgenstein sia letto da mille-millecinquecento persone al giorno (credo: l’auditel di internet è più inaffidabile di quella televisiva). Ogni giorno venti-trenta persone mi scrivono loro commenti o inoltrano segnalazioni ad articoli e pagine che non conosco. Altri weblog fanno numeri del genere, o perché sono fatti bene e o perché sanno farsi pubblicità. Tra i più seguiti in Italia ci sono quelli di Gianluca Neri (GNUEconomy), Massimo Mantellini (Manteblog), Carlo Berardelli (Brodo Primordiale), Tommaso Labranca (Labranca) e Christian Rocca (Camillo), con cui incrocio spesso le lame. Tra i miei preferiti ce ne sono anche di meno battuti, per ora, come EmmeBi e e l’autoironico Giovani tromboni, che ricorda ai weblog in delirio di onnipotenza di abbassare la cresta. Io, per esempio, penso che un giorno spiegherò sul weblog che cos’è un quotidiano.