A Pigalle coi torpedoni

 

 

 

Quello che si vede da dentro questo bar è un grosso slargo stradale. Quello che si vede è un grande pub dal nome vietnamita, un MacDonald, un ristorante belga, una farmacia, un peep show, un locale oscuro con una grande insegna rosa, uno spartitraffico al centro dello slargo da cui si scende alla metropolitana. Un aiola inagibile, un albero spoglio, un tricolore.
Pigalle era uno scultore.
La piazza - lo slargo - è in discesa, eredita l'ultima pendenza del colle di Montmartre a cui fa da accesso. La grande insegna rosa dice Folies Pigalle. La targa blu sul muro dice Place Pigalle. Pigalle era uno scultore del Settecento, prima di diventare il nome di qualcos'altro, di una piazza e di una striscia di viale interrotta da un paio di slarghi come questo. Il secondo, cento metri più a ovest, si chiama Place Blanche. La Croix Blanche era un cabaret, tanti anni fa. Adesso la place Blanche è una cosa sola, il Moulin Rouge, le sue insegne luminose e il suo spettacolo quotidiano di torpedoni in manovra sullo slargo. La gente arriva da ogni parte del mondo per vedere i torpedoni.
Davanti al Moulin Rouge, stasera, c'è una lunga fila di persone che ingombra la strada. Giovani, coppie di giovani, quasi tutti parigini, diversi neri, allegri, fumano, si fanno un panino al chiosco vicino. La fila è lunga, occupa tutto il sagrato del locale, ma non piega per entrarvi, anzi prosegue ancora, sale sul marciapiede, supera il chiosco, si addossa a una transenna sotto lo sguardo di un paio di energumeni vestiti di nero e arriva a un tappo davanti a una grande porta vetrata, l'ingresso del MCM bar, su cui è incollato un avviso "Stasera, solo su invito, concerto dei Placebo".
I ragazzi aspettano, ordinatamente, che il MCM apra. I maitre del Moulin Rouge li osservano indifferenti da dentro i loro lunghi cappotti bordati d'oro. Questa è un'ora calma, il primo spettacolo, quello delle sette, è iniziato da un po' e fino alle undici c'è poco da fare. Quando il pubblico comincerà a uscire, i ragazzi dei Placebo staranno già pigiati nella sala accanto e ci sarà il solito daffare con le guide turistiche che ricompattano i gruppi, lo spettatore che ha dimenticato il cappello in sala, quello che chiede una foto con la sua signora sotto l'insegna al neon, i torpedoni in manovra, e il nuovo carico che si affolla nella fila per l'ultimo spettacolo. Coppie di cinquantenni, gruppi di coppie di cinquantenni, o sessantenni, qualcuno più giovane, non più di dieci sotto i quaranta. Tedeschi, e americani, per lo più. Le signore in soprabiti dai colori e le fogge improbabili, spalline, stivaletti col tacco, pettinature carenate, tutto il repertorio buono per giustificare i cinquecento franchi d'ingresso.
Ho fatto la guida turistica molti anni fa, dice Antonella in un caffè moderno affacciato sull'Operà, al secondo piano di un negozio di abbigliamento giovanile. Era terribile, un circuito convenzionato, li portavi al Moulin Rouge e in altri due locali,, e si divertivano.
Le decine di locali porno che si affaccciano sul viale cercano di risucchiare i passanti a suon di offerte ­ sesso? ragazze? sesso? ragazze? ­ maniche strattonate e inviti in tutte le lingue del mondo. Maitre da marciapiede squadrano i turisti in cerca della battuta giusta nell'idioma giusto. Ci sono delle donne, pure, a cercare di convincerti, intermediarie, il lavoro vero lo fanno dentro. Dentro è uno stanzone buio col banco di un bar, luci basse e divanetti. Una sorta di pista da discoteca. Ci sono quattro gatti, un tipo appoggiato al bancone, tre ragazzi che scherzano vicino a un videogame. L'attrazione, all'improvviso, è il cliente. Una ragazza con un corpo niente male, per quel che si può vedere al buio, lo porta a sedere in un angolo e si mette a bisbigliargli frasi di repertorio dentro l'orecchio, le insinua alitando nel timpano, gli parla nel cervello. Si chiama Linda, dice, è di Lione. Raccontami una storia. Una nera, giovane anche lei, comincia a spogliarsi davanti a loro a ritmo di musica. Alta, bel fisico, tette piccole. Linda ha le mani sulle gambe di lui, sul suo petto. I quattro gatti li ignorano e tornano ai fatti loro, chissà quali. Pochi metri più in là, una porta dà su un paio di altre stanze, più piccole.
Così se ne vanno le nottate nei tuguri di Pigalle, che da fuori è tutto un su e giù di turisti e torpedoni in manovra, ragazzi che vanno ad affollare i bar, ma pare di sentire qualcosa che pulsa e si gonfia dietro porte e pareti, dentro, sotto. Qualcosa di assediato, arroccato, anacronistico, roba di sesso spiccio e buio. La modernità assedia, i locali giovani e frequentati, vivaci e luminosi, incombono, si incuneano, guadagnano terreno. A vederla in una mappa, la parte porno di Pigalle ricorderebbe le contee democratiche nelle cartine degli Stati Uniti, patacche di rosso che cercano di stare legate tra loro tra il blu che dilaga tutto attorno. Qui ci sono il MCM, la Fourmie, il Divan du Monde, tutti gremiti. Il bar vietnamita è stato aperto da tre francesi di ritorno da una vacanza. All'ingresso c'è un grande busto di Ho Chi Minh, i ragazzi fanno la fila per avere un tavolo. Salendo c'è il bistrot Sancerre, gente pigiata dalle sette in poi e musica del Buddha bar fin sulla strada dove Ignazio di Loyola si inventò i gesuiti, tanti anni fa. E la pressione dei giovani che affollano Montmartre che sembra rotolare giù dalla rue des Martyrs ­ il cavallo di Gericault lo mandò a spappolarsi trentareenne contro il muro di una casa, tanti anni fa - e portarsi via tutto. Più si va a valle, più il tenore si fa andante. Da place Pigalle, scende una strada di localetti tetri e rosseggianti dove donne di poche pretese cercano di attrarre i passanti bussando sulle vetrine, dalle Folies Pigalle in giù. Io non ci andrei, fossi in lei, signore, fa il cameriere dell'Omnibus cafè. Il livello è basso. La strada si chiama Rue Frochot, roba che neanche Bombolo. Scendendo ancora, puttane vere, quelle vere, d'annata, quelle delle canzoni, quelle bionde finte e con le pellicce e passatelle, sorridono agli angoli e sui portoni, e Pigalle si sfilaccia. Non lontano, il quadro si ricompone assai più solido tutto intorno a Saint Denis. Ma là non vanno i torpedoni, e non c'è Montmartre. Stasera un camion dei pompieri è rimasto accalappiato nelle manovre, suona la sirena e non riesce a divincolarsi nel gioco del quindici dei pullmann sulla place Blanche. La gente in fila davanti al Moulin Rouge sta ancora aspettando e si fa distrarre dal rompicapo stradale e dal colossale telefonino Samsung che dal tetto di fronte luccica. Bienvenue a Paris.
Sono tedeschi, e americani. Qualche giapponese. Italiani, pochi. Ma arriveranno, dice il maitre laccato, arrivano a frotte, a primavera. Si entra, si consegna il soprabito, ci si fa accompagnare a uno dei cento e passa tavoli incastrati l'uno nell'altro nella sala. La sala è bella, tra il circo e il Cotton Club. E poi cominciano i numeri, ultimo giro.
Ogni mattina di Pigalle è un postumo della sbornia, ogni mattina più consueto e logoro. Un nero grande e grosso lava via con uno spazzolone i peccati dei marciapiedi. Altri neri gli passano accanto, si incrociano sulle strisce pedonali, entrano nel metrò, escono, riempiono la città di nero- nero nero, non il nordafricano francese da decenni e decenni ­ Parigi è una città di neri diventati francesi in un batter d'occhio e di neri sans papier. Ma dov'erano ieri sera? Uno, sulla cinquantina, abito da businessman e con una valigetta, era sbucato da un peep show a un certo punto. Ma in giro, pochi altri. Pigalle non è roba da neri. Ci sono stata, dice Caroline davanti a un piatto di ostriche in un bistrot di rue Montorgueil, un chilometro più a sud. I parigini non ci vanno in genere, ma io e il mio ragazzo siamo andati sia al Moulin Rouge che al Crazy Horse - sta vicino all'Ètoile, il Crazy Horse, tutto da un'altra parte - che è più moderno, più raffinato, anche un po' più eccitante..
Non c'è niente di eccitante al Moulin Rouge. È come vedere Domenica In nel '79, con l'avventura di qualche topless. Balletti datati, costumi kitsch e un po' logori, musiche imbarazzanti. Roba da far sembrare moderni i Rockets. Solo acrobati e numeri comici risvegliano il pubblico, che comunque se ne viene contento, pettinature e soprabiti adeguati, foto ricordo e via. Il tempo di districare i torpedoni.