Stonewall, la vera storia del gay pride
|
La prima volta, trent'anni fa, erano cinquecento,
senza neanche un megafono. L'anno scorso a San Francisco, tra
i cinquecentomila partecipanti alla marcia dell'Orgoglio Gay,
qualcuno ha avuto da ridire sulla presenza di troppi grandi sponsor.
Altrettante persone hanno preso parte alla marcia a New York.
Tra di loro c'erano i sindaci delle due città, Rudy Giuliani
e Willie Brown. Un milione di persone. Ne hanno fatta di strada,
i gay d'America, mentre a quelli di Italia si vuole impedire
anche solo di esserci. La marcia si tenne per la prima volta
nel luglio 1969, e da allora ogni anno, nell'anniversario del
27 giugno 1969: il giorno degli scontri di Stonewall.
Trent'anni fa non c'era nessun movimento gay in America. Le associazioni
omosessuali si contavano sulle dita di una mano: si trovavano
solo a San Francisco, Los Angeles, Washington e New York e avevano
nomi mimetici, che eludevano la loro natura. I pochi omosessuali
dichiarati che ne facevano parte chiedevano solo di esser lasciati
vivere con le loro scelte senza venir discriminati sul lavoro
o minacciati. Ogni millimetro di tolleranza guadagnata (tolleranza
sdegnosa, "basta che non diano fastidio") veniva visto
da queste associazioni come un successo fragile da non turbare
con rivendicazioni che potessero urtare le sensibilità
dominanti. Il Manuale diagnostico e statistico dell'Associazione
americana di psichiatria definiva l'omosessualità come
una malattia mentale. Non esisteva, nel 1969, nessun movimento
dii diritti per gli omosessuali, proprio mentre la questione
dei diritti civili (per i neri, per le donne, per i poveri, per
le minoranze in genere) raggiungeva la massima importanza negli
Stati Uniti e in molte parti del mondo. Alle leggi contro l'amore
omosessuale, che ancora vigono in cinque degli stati confederati,
si aggiungevano norme di fatto che impedivano, anche a New York,
il funzionamento di associazioni, locali, attività: le
autorità spesso chiudevano un occhio salvo metter loro
pesantemente i bastoni tra le ruote ogni volta che capitava.
La sera del 27 giugno 1969 era un venerdì, e lo Stonewall
Inn era pieno come un uovo. Il locale di Christopher Street,
nel Greenwich Village, era uno dei più noti locali gay
di Manhattan, discretamente appartato dall'esterno e periodicamente
tartassato dalla polizia con una scusa o l'altra. Era frequentato
da pochi vistosi travestiti e molti anonimi clienti, soprattutto
giovani, rassicurati dalla riservatezza del posto e dal fatto
che la polizia portasse sempre via per prime le checche e desse
loro il tempo di dileguarsi. Quel venerdì per i tavoli
si piangeva la morte di Judy Garland, icona di femminilità
sempre venerata dalla cultura gay, quando verso mezzanotte sei
agenti della polizia di New York, quattro uomini e due donne,
piombarono allo Stonewall con un mandato per controllare che
non venissero venduti alcoolici, per cui i gestori non avevano
mai ottenuto la licenza (fino a due anni prima nessun locale
poteva servire alcoolici agli omosessuali, per legge). Il mandato
era pretestuoso, il reato tollerato in mille altri casi, ma era
un'occasione per far tenere bassa la cresta ai locali gay. I
poliziotti presero a distribuire minacce e rompere oggetti a
colpi di manganello, e fecero uscire i clienti a uno a uno, fermando
i travestiti. Ma quella sera qualcuno reagì. Non solo
le solite energumene truccate e sui tacchi che volevano saggiamente
sfuggire alla notte in cella: per la prima volta gli avventori
resistettero all'intimidazione assieme, uomini e donne, gay e
eterosessuali. Volarono bicchieri e sgabelli, i poliziotti furono
presto in difficoltà e bloccati all'interno, mentre fuori
una folla di centinaia di persone, in parte espulsi dal locale,
in parte accorsi dai dintorni, resisteva all'arrivo dei rinforzi,
accendeva falò e dava luogo ai tumulti da cui nacque il
movimento gay americano. Gli scontri durarono un paio d'ore,
con alcuni feriti non in modo grave e una dozzina di arrestati
sia eterosessuali che gay. I quotidiani newyorchesi (e persino
il progressista Village Voice) riferirono l'accaduto con ironie
volgarissime a base di "mascara che colava", reggiseni,
unghie laccate e "api regine che pungono", rinforzando
l'orgoglio degli insorti.
Nelle sere successive le manifestazioni davanti allo Stonewall
ripresero e si scontrarono ancora con la polizia che voleva disperderle.
Il seme era gettato, e dalle pavide e represse associazioni "omofile"
si staccò nelle settimane successive un movimento più
radicale di persone che chiedevano di avere i diritti degli altri
(e che vennero accusati dalle prime di essere "comunisti"
e voler compromettere il quieto vivere) e sceglievano per la
prima volta di usare la parola "gay" per le loro rivendicazioni.
Tra i volantini diffusi in quei giorni, uno diceva "Pensate
che gli omosessuali siano disgustosi? Potete scommetterci il
culo che lo siamo!".
"Alla polizia sono sicuri di una cosa sola: sentiranno ancora
parlare delle Ragazze di Christopher Street", chiudeva la
suo spregevole cronaca il Daily News del 6 luglio.
Lo Stonewall è sempre in Christopher Street : è
stato dichiarato monumento nazionale e sta aprendo un nuovo "Stonewall
Bistro". Quest'anno, per la trentunesima volta si terrà
la marcia del Gay Pride (a Parigi, l'anno passato, duecentomila
persone). La marcia nacque quando i gay decisero di cominciare
a menare le mani per i loro diritti. Qualcuno li avvisi, quelli
che giudicano "inopportuna" la manifestazione di Roma. |