L'uomo che querela i bloggers

Luca Sofri
Nova, 15 novembre 2007

 

Gigi Moncalvo si è fatto molte fame nella sua carriera di giornalista sulla carta e in televisione: adesso ne ha una nuova, è legata a internet, ma non ha a che fare con l'apertura di un blog. Moncalvo è diventato, per la rete italiana, “il giustiziere dei blog”: da un paio di anni a questa parte si è dedicato alla sistematica persecuzione giudiziaria tramite querela di chiunque a suo giudizio lo abbia diffamato su internet, aprendo casi di scuola a ripetizione in un territorio misterioso e controverso come quello dei limiti della libertà di espressione in rete.
I casi che Moncalvo ha affidato a una querela sono i più vari. Si va da chi in effetti ha scritto su di lui delle cose evidentemente offensive, a chi ha scritto su di lui delle cose sarcastiche, a chi ha ricevuto dei commenti contro di lui sul suo blog, a chi ha linkato dei post che lo attaccavano: fino ad arrivare a Google, denunciata da Moncalvo perché mostra i link ai post querelati. Ho provato a parlarne con lui, cercando di capire quale approccio mettesse sullo stesso piano fattispecie giuridche assai diverse, e mi pare di poter dire che la spiegazione stia in una conoscenza della rete assai superficiale, che Moncalvo stesso ammette: “Io vado poco su internet: ma ho un amico di Novi Ligure che stampa le cose peggiori contro di me, e me le fa avere”. Ma al di là della vicenda personale, la sua attività di querelatore offre la possibilità di affrontare molti temi assieme. Intanto Moncalvo stesso spiega una questione giudiziaria a monte: “io querelo penalmente, invece di fare un'azione civile, per ottenere che la magistratura individui l'identità del titolare del blog, contro cui posso poi rivalermi in sede civile”.
Colpito dall'apparente inoffensività di alcuni dei testi incriminati (uno parla di lui alludendo alla “testa di certi conduttori, che un napoletano direbbe che ha la sola funzione di spàrtere 'e rrecchie (di tenere cioè separate le orecchie)”), provo ad accusare Moncalvo di usare degli standard eccessivi e prepotenti con i deboli: che non querelerebbe un critico televisivo che scrivesse su un giornale le stesse cose. Ma scopro che no: Moncalvo è un querelatore di lungo corso, e a tutto campo, da molto prima che esistessero i blog, e mi cita decine di nomi e trasmissioni note con cui ha dei contenziosi: “alla Stampa mi hanno dato 15 mila euro e ho ritirato la denuncia per quel che c'era in un loro forum”.
In alcuni casi i post contro Moncalvo sono così violenti e sgradevoli che è difficile contestare la legittimità della querela, ma spesso viene da sorridere: “beh, io sono stato querelato tutta la vita per cose che avevo scritto, altrettanto risibili. Ci sono giudici che si sono garantiti la pensione togliendo soldi a me e ai giornali per cui scrivevo. E allora se questa è la regola, la seguo anch'io. E poi voglio che sia sancito cosa si può dire e cosa no, così poi nessuno potrà querelare me per le stesse cose. E comunque a “questi” bisogna insegnare l'educazione. Non possono darmi del vigliacco e offendermi tutta la vita per questa cazzo di etichetta di due anni alla Padania che mi porto dietro”.
Passo ai casi più ambigui: un blog che ha semplicemente raccontato il caso e ha linkato un post querelato: “Lo ha pubblicato!”. Non lo ha “pubblicato”: è un link, spiego. Se io scrivo su Nova di questa storia e cito un post querelato, mi quereli? “No, tu non ti appropri di quella frase, non favorisci la sua diffusione in eterno, contestualizzi… Ogni giorno che quelle cose restano online, per me sarà un argomento in più nelle cause per danni: prosecuzione del reato”. E le querele per i commenti? “Il blogger è responsabile”. Ma questo commentatore che dice di aver ricevuto la convocazione della polizia postale non aveva scritto niente di offensivo, gli dico. Moncalvo prima dice che sì, poi davanti al testo palesemente innocuo esita e accusa chi indaga di aver fatto confusione, che quello non c'entra niente.
“Ma i veri colpevoli sono questi signori qua!”, mi dice, cambiando discorso e aprendo una pagina di Google. Ha denunciato Google, non per ciò che ospita, ma per ciò che linka: “ho i nomi dei due, ho fatto causa civile. Io non voglio dispiegare una forza censoria su internet, come fece Di Pietro con i giornali, querelando tutti”.
Non vorrai, ma intanto la dispieghi… “Devono imparare l'educazione”.

Le regole del gioco
Una conversazione con Tomaso Pisapia, avvocato

Con quali strumenti si affrontano le questioni legali poste dalle iniziative come quelle di Gigi Moncalvo? Prova a spiegarlo l'avvocato Tomaso Pisapia, uno dei più aggiornati sulle evoluzioni delle regole applicate alla rete: “non esiste in diritto penale una legislazione specifica sulla diffamazione in internet: ci si affida alle norme esistenti”. Già, ma a quali norme? In rete esiste il reato di diffamazione? “Il reato di diffamazione esiste a prescindere dal contesto in cui viene compiuto: il contesto determina poi sotto quali norme ricada. Esiste la diffamazione a mezzo stampa, che però riguarda espressamente ciò che viene “stampato” e di cui sono responsabili tutti coloro che scrivono sulla carta stampata. La televisione, per esempio, non ricade in questa categoria: fu fatta una legge apposita che regolamenta i casi di diffamazione in tv. Quindi non si capisce perché debba rientrarci internet”. E in assenza di una legge apposita, la rete non rimane un po' una terra di nessuno? “No, perché la diffamazione si configura, e viene perseguita lo stesso: allo stesso modo in cui viene perseguita se avviene durante una conversazione o un comizio. Ma non ha l'aggravante specifica prevista dalla legge sulla stampa.”.
E chi è responsabile della diffamazione? “Chi viene individuato come autore del testo diffamatorio: al momento la tendenza è a giudicare responsabile chi abbia messo online il testo. Ma una direttiva europea che esclude il dovere di sorveglianza di chi ospita il contenuto”. Anche quando si parla dei commenti di un blog? “Quello è il caso più particolare e controverso: oggi si ritiene che il titolare del blog sia responsabile anche dei commenti pubblicati sul suo blog (ferma la responsabilità per diffamazione del commentatore), concedendogli un tempo ragionevole per rimuoverli quando questi siano diffamatori. Una sentenza ad Aosta contro un blog ha definito la posizione del responsabile del blog identica a quella del direttore di una testata giornalistica stampata, ma può darsi che il magistrato sia stato influenzato dal fatto che le parti in causa fossero dei giornalisti professionisti”.

Qui, un'obiezione, e l'ulteriore chiarimento