Il grande fratello nascosto nel computer
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Domenica ho pensato di mettere ordine nel mio
computer. C'erano in giro documenti di cui non ricordavo più
il contenuto, e programmi che avevo scaricato dalla rete per
curiosità si sparpagliavano per la scrivania da mesi.
Ho cominciato ad aprire i documenti per decidere cosa farne.
Meccanicamente, aprivo, controllavo e trascinavo in una qualche
cartella o nel cestino (questa narrazione antropomorfa suona
ancora po' surreale, per fortuna). Ero già a buon punto
quando ho maldestramente trascinato una breve lettera di Michele
Serra di auguri natalizi - un documento Word di appena sei righe
- sopra un'altra icona, invece che nella cartella a cui avevo
deciso di destinarla. Si è dispiegata sullo schermo una
pagina di numeri e segni indecifrabili. Il programma che avevo
aperto è un hex editor, un semplice software che permette
di leggere e modificare i codici esadecimali di cui sono composti
i file: una sorta di macchina per le radiografie che avevo trasferito
da internet quasi un anno fa dopo aver letto un articolo che
ne spiegava le funzioni. Lì era rimasto, senza mai servire
alle mie inadeguate competenze.
Adesso mi mostrava lo scheletro del messaggio di Michele Serra:
numeri e numeri e lettere, e una colonna di testo leggibile ma
un po' scombinato che è la traduzione di quei codici,
ovvero le sei righe di auguri di natale. Anzi, no. In quella
colonna ora vedevo: un articolo di Serra su Mario Martone che
mi ricordavo di aver letto su Repubblica, una recensione di un
libro di Vincenzo Cerami, una sorta di curriculum di Serra, un
testo indirizzato all'assessore alla cultura di Monsummano Terme,
un lungo articolo sulla situazione dell'Unità (con un
accenno garbato nei confronti del Foglio), e infine, il mio messaggio
di auguri. Oh-oh.
Riapro il documento con il suo programma, Word: sei righe. Nient'altro.
Cosa sta succedendo, Willis?
Trattengo per il momento i pensieri inquietanti su cosa questo
può significare per il povero Michele Serra: del quale,
imbambolato di fronte monitor, sto leggendo codice fiscale, partita
IVA e indirizzo collinare. Oh-oh: se è chiaro quello che
intendo. Penso di capire che lo stesso documento abbia ospitato
successivamente testi diversi, e a ogni rimpiazzo ha conservato
invisibile la memoria dei precedenti.
Decido di fare delle verifiche. Apro dei miei documenti di Word
con lo stesso hex editor. Del primo, accanto alla nebbia di cifre
e maiuscole scompaginate, vedo semplicemente il suo contenuto
più altri brandelli di parole senza senso o che riferiscono
attributi del file (il tipo di carattere usato, la dislocazione
originaria sul mio hard disk, le caratteristiche di Word). Stessa
cosa per il secondo, e il terzo. Sto cominciando a pensare che
il guaio sia concentrato solo sulle pendici bolognesi, quando
eccolo qua. In un appunto di tre righe su una storia che avrei
voluto scrivere e ho lasciato in sospeso qualche mese fa, trovo
un capitolo di un libro di geografia che scrissi per la Zanichelli
nel 1996. Insisto, a tappeto, tra il panico e l'eccitazione.
La cosa si stava rivelando divertente e da brividi insieme: perché
tutte queste cose sono state spedite in giro, naturalmente. In
una lettera privata a un amico trovo un pezzo di una traduzione
che feci qualche anno fa. E sapete che c'è? Che io non
ho mai mai sovrascritto lo stesso documento. Quindi
i files si sono contaminati, in qualche modo. Ma il peggio deve
ancora arrivare. Ed è quando esaminando un articolo per
il Foglio di tre mesi fa ci trovo dentro una quantità
di parole familiari ma di cui non capisco l'associazione tra
loro. E invece sì: sono appunti di mie misere contabilità,
lavori fatti e promemoria di pagamenti, conti bancari, note spese.
So da dove vengono. Sono in un file di Excel dove raccolgo questo
genere di cose. In un file di Excel.
Non lo è mai scritte in Word.
La situazione è abbastanza preoccupante. Il redattore
del Foglio a cui ho mandato a suo tempo il pezzo può fare
la stessa cosa che sto facendo io e leggersi i miei conti. Niente
di gravissimo, mi pare di poter dire. Ma se questa cosa vale
sempre, una volta o l'altra si troverà a poter leggere
brandelli degli apprezzamenti smodati sulla sua fidanzata che
ho scambiato con un nostro comune amico. E ognuno si può
figurare gli scenari che lo riguardano. Perché non siamo
solo io e Michele Serra a infestare il mondo dei fatti nostri,
come scopro studiando le cose.
Le memorie dei supporti informatici (floppy, cd, hard disk) sono
ripartite in unità minime. Vuol dire che non si tratta
di vasche in cui i dati fluttuano e vanno ad occupare ogni minimo
interstizio. Piuttosto di grandi arnie divise in tanti scomparti.
O di cantine affollate di bottiglie. L'unità minima, -
la bottiglia varia da supporto a supporto. Più grande
è il supporto, maggiore è anche l'unità
minima. È il motivo per cui su un hard disk da un gigabyte
un documento di Word di due parole occupa comunque 17 k di memoria,
mai di meno: 17 k è quell'unità minima, una bottiglia
che resta semivuota. Ogni volta che lavoriamo al computer, lui
ospita la nostra opera in corso in zone di memoria temporanea
- cantine piene di scaffali e bottiglie - che poi vengono trasferite
al documento salvato. Ma non vengono svuotate: il loro contenuto
sarà rimpiazzato da nuovi dati temporanei alla prossima
occorrenza. Ma se quei dati saranno insufficienti a colmare l'unità
minima costituita dalla bottiglia, parte del contenuto precedente
resterà al suo posto. O, se quella bottiglia era vuota,
sarà colmata con dati pescati altrove, dove capita. Al
momento del salvataggio, tutto il contenuto nuovo e vecchio
sarà trasferito al documento salvato. Ecco fatto.
E non ci siamo accorti di niente.
Il problema è noto da molto tempo e riguarda diversi software
in cui i programmatori non hanno ritenuto di trovare un modo
meno spiccio e più impegnativo per trattare la questione,
ed è noto col nome di "memory slag". La Microsoft
ne è stata la più preoccupata, soprattutto a causa
della grande diffusione dei suoi programmi, e alcuni anni fa
ha cominciato a modificarli e a fornire dei "patch"
per risolvere il problema. Che in effetti hanno in gran parte
funzionato. Ma per il concorso di varie ragioni, non del tutto:
come dimostra il mio tranquillo weekend di paura. D'altronde,
chiunque sia riuscito con successo a recuperare dei documenti
che credeva di avere distrutto grazie a programmi appositi
sa che niente può considerarsi mai eliminato con
sicurezza.
Senza fare del terrorismo, è superfluo spiegare che conseguenze
questo possa avere se associato alla frequenza di trasferimento
dei documenti nell'attuale sistema di comunicazioni via posta
elettronica: il procedimento può coinvolgere non solo
scambi di dati tra i vostri documenti, ma anche con quelli altrui.
O come solo una completa riformattazione dell'hard disk possa
rassicurare chi voglia far sparire certi documenti compromettenti.
O come i riferimenti ai siti porno che avete visitato e che il
computer ha tenuto nella cache, possano essere usati per colmare
un'altra bottiglia e rimanere in giro anche dopo che avete cancellato
la cache. Eccetera: "quando riceviamo un curriculum da qualcuno,
lo apriamo sempre con un hex editor per vedere cosa ci può
essere rimasto attaccato", è il parere depositato
su un sito web dal direttore del personale di una società
americana.
Finito di scrivere questa storia, mi metto a lavorare su un articolo
di mio padre per Repubblica. Lo salvo e per curiosità
lo apro con l'editor. Dentro ci trovo tutto il testo che state
leggendo.
Oh-oh. Eccolo qua, il Grande Fratello. Siamo noi, e i buchi nelle
nostre tasche. Una subconscia tendenza a sparpagliare e rendere
pubbliche parti di noi, a casaccio, a chi abbia la pazienza di
leggerle e un hex editor. Io, a partire da questo pezzo, smetto
di mandare files in attachment.
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