Henri Paul
di Luca Sofri

Vanity Fair, 9 dicembre 2004

“Henri Paul arrivò con la sua utilitaria all'Hotel Ritz. Erano le 22.08 del 30 agosto 1997 quando gli inutili sguardi delle telecamere del Ritz iniziarono a registrare quella serie di immagini fredde e sgranate che le televisioni e i giornali di tutto il mondo ci avrebbero propinato per ore e per anni come un blob”. Comincia così il decimo capitolo di un libro appena uscito per un piccolo editore (Quiritta), che si chiama “H.P., l'ultimo autista di Lady Diana”. H.P. è Henri Paul, appunto, ma il libro non è un'ennesima inchiesta su quella serata miliare nella storia e nella cronaca dell'ultimo decennio, quella in cui Diana Spencer e il suo fidanzato andarono a schiantarsi contro un pilone del tunnel dell'Alma, a Parigi. Il libro parla di Henri Paul, che guidava la Mercedes e che morì con loro: parla della “sola figura interamente, banalmente umana” in una “storia di miliardari e principesse”, e ne parla attraverso il racconto dei suoi amici e parenti che si attorciglia con il racconto autobiografico dell'autore Beppe Sebaste, e della sua ricerca. Sebaste è uno scrittore di Parma, che vive tra Parigi e la Versilia: si è occupato molto di filosofia e di letteratura, ha pubblicato racconti e romanzi, e si è appassionato per caso alla storia di quella sera di agosto di sette anni fa che è stata finora simboleggiata dall'”interminabile melassa sulla canzone di Elton John”. “H.P.” alterna i risultati della sua ricerca biografica al racconto della sua propria vita in quegli anni, con un'identificazione non nuova tra il biografo e il biografato, e l'introduzione di riferimenti letterari, parigini, di attualità, i più vari. Ma il centro del racconto rimane Henri Paul, e il desiderio di Sebaste di recuperare “la normalità di Monsieur Paul, snaturata e violata al di là di ogni oltraggio”: “per i giornali si trattò quasi subito di un ubriacone imbottito di psicofarmaci, irresponsabilmente alla guida della Mercedes che trasportava la principessa”.
Se uno non le ha mai viste, le foto di Henri Paul (alcune di quelle in queste pagine le ha avute Sebaste dalla famiglia di Paul e non sono mai state pubblicate), colpiscono già per questa impressione di “normalità”: l'immagine del gorilla addetto alla sicurezza di un grande hotel e con tendenza agli eccessi, in primo luogo alcoolici, fa già a botte con la faccia di questo signore di 41 anni.
Henri Paul era nato a Laurient, in Bretagna, dove ancora vivono i suoi genitori. Nel 1985, dopo aver lavorato in due negozi che vendevano barche, fu assunto da una società che si occupava di sicurezza. Da lì, passò alla sicurezza dell'Hotel Ritz di Parigi, dove divenne rapidamente il numero due dello staff. Il Ritz, l'albergo di Place Vendôme di proprietà della famiglia al-Fayed, dove Diana e Dodi sarebbero arrivati quel 30 agosto.
Già pochissimo dopo l'incidente dell'Alma, Henri Paul divenne il capro espiatorio al centro di un confronto tra gli investigatori, i servizi segreti, il desiderio di riservatezza della monarchia britannica, l'eccitata fame di scoop dei giornali e i deliri complottardi di molti. L'autista ubriaco e depresso divenne la soluzione più facile per tutti: ogni cosa poco chiara e mal gestita nelle indagini diventava trascurabile, ogni ulteriore dubbio era superfluo, e al tempo stesso si potevano fare i titoloni, si poteva evocare un confronto di classe ma anche di stile (tra principessa e bodyguard), e infine scatenare un attacco contro la famiglia al-Fayed, di cui Paul era un dipendente, che non aveva saputo proteggere la vita di Diana sottratta ai suoi nobili connazionali. Solo i complottardi non ne furono sodddisfatti, ma quelli non sono soddisfatti mai.
Sebaste mette pazientemente assieme tutte le incongruenze di questa versione, e tutti i misteri che la riguardano. La quantità d'alcool che le analisi sostennero di aver trovato nel sangue di Henri Paul appaiono incongruenti addirittura con la possibilità che potesse salire in macchina, e la presenza di anidride carbonica trovata dalle stesse analisi è incompatibile con il fatto che Paul morì sul colpo nel tunnel dell'Alma. Tende piuttosto a far pensare che il sangue analizzato non fosse il suo. Paul è poi raccontato da tutti quelli che lo conoscevano come un uomo prudente, attento, mai avventato. Pochi giorni prima dell'incidente, lui che già pilotava aerei da quando aveva 17 anni, aveva ottenuto il brevetto per il volo con strumentazione elettronica, dopo un esame rigoroso e difficile in cui qualsiasi sua inidoneità - fisica o psichica - sarebbe stata individuata. Le perquisizioni nella sua casa mostrarono la presenza di appena qualche bottiglia di liquore da armadietto dei liquori e una quantità quasi comica di lattine di Diet Coke, di cui era un consumatore sfrenato. Eppure, sì: la separazione dalla sua ultima fidanzata, avvenuta ormai molto tempo prima, lo rendeva ancora triste, e sì, gli capitava di bere un Martini o una birra, come molti. Aveva cioè una parte di depressione e alcoolismo nella sua vita uguale a quella della maggioranza delle persone nel mondo. E questo è quello che Sebaste contesta nel quadro ritratto da indagini e giornali: che la normalità diventi prova a carico, che solo un eventuale eccesso di felicità e astemia possa scagionare dal dubbio di essere un depresso autodistruttivo e un ubriacone. Quando l'aggressione nei confronti di Paul si fece insopportabile, fu un vicino di casa che l'aveva conosciuto a reagire con una lettera ai giornali: “Lo si è voluto vigile di lusso, ex poliziotto e paracadutista; eppure non ha mai maneggiato una rivoltella più di quanto non gli sia capitato con un manganello. Monsieur Paul era un Parigino come gli altri. Celibe senza bambini. Lettore di giornali. Giocatore di tennis occasionale. Proprietario di una mini Austin nera, automatica, facile da parcheggiare in città. Che parlava l'inglese. Socievole. Libero. Monsieur Paul era addirittura la caricatura di un Parigino, come nei ritratti che ne fanno i film inglesi. Tranne il vino rosso: preferiva la birra o il pastis. Sempre pronto ad accettare un bicchiere, si tratteneva volentieri al banco dei caffè più animati del quartiere, la sera, per decomprimersi dopo una dura giornata. Ma non al punto da farne un ubriacone, questo no: Monsieur Paul camminava sempre con una postura eretta. Era arrivato nella capitale a vent'anni, con una maturità tecnica, una patente di pilota d'aerei e buonumore da vendere… Monsieur Paul non era veramente un autista. Era stato invitato sei volte sulle piste di addestramento della fabbrica Mercedes, che sa bene come promuovere se stessa. Ma le automobili non lo entusiasmavano, e nemmeno la velocità: la sua passione era l'aeroplano. Aveva 605 ore di volo all'attivo. Sulla strada era perfino più prudente degli altri e non dimenticava mai di allacciarsi la cintura. Salvo che per scappare con Dodi e la sua principessa innamorata nella folle speranza di seminare i fotografi”.
Questo rimane di Henri Paul, oggi: la battaglia contro il Golia che ne ha fatto un incosciente assassino, condotta delle persone che lo conoscevano: normali, come lui.