La fine del mondo che non ci fu
di Luca Sofri

Vanity Fair, 13 gennaio 2005

Il problema, con la televisione, è che non puoi fare una ricerca nel testo come per la carta stampata. La inventeranno presto, naturalmente, e allora ci sarà anche lì un Gian Antonio Stella di sapiente scrittura e ottimo archivio che andrà a chiedere conto a ognuno delle fesserie che ha detto in tivù, mesi o anni prima. Saranno così tante da far alzare di molto lo standard della fesseria, temo: col rischio che dire delle fesserie non sarà più punibile nemmeno da Gian Antonio Stella.
Nel frattempo possiamo dilettarci con le fesserie dette sulla televisione. Vi ricordate quando gli spot nei film sembravano essere il primo passo verso la decadenza morale e concreta delle società moderne? Anzi, sembravano essere la decadenza stessa delle società moderne, il punto di arrivo finale di una catastrofe culturale? “Non si interrompe così un'emozione”, si diceva: oggi la frase è giustamente consegnata a un uso ironico e sfottente. Oggi la RAI - mica Mediaset, mica il demonio - interrompe i film tutto il tempo, nessuno scende in piazza, e pare che siamo inopinatamente sopravvissuti (certo, c'è stato lo spostamento dell'asse di rotazione terrestre, ma la relazione con gli spot nei film è ancora tutta da dimostrare).
Forse la catastrofe ci ha così avvolti che non ce ne accorgiamo neanche più: questo siamo diventati, gente ormai abituata agli spot nei film. Oppure è per via di quanto sono diventati brutti i film trasmessi in televisione: ci vorrebbe una legge per impedire che interrompano quelle stupende pubblicità.