Povera baronessa di Carini

Luca Sofri

Vanity Fair, 15 luglio 2004

Non so quanti anni avevate voi, magari non esistevate, magari non guardavate la tele, chissà. Oppure ve ne ricordate, o addirittura – come me – eravate bambini e quindi ve ne ricordate benissimo. Ci sono cose che l’infanzia catalizza e fa diventare terribili o fantastiche (io ho ancora una pura fottuta di Pierino e il lupo). Vi darò degli indizi: l’impronta di sangue lasciata dalla mano che scivola sull’intonaco; i Beati Paoli; il cattivissimo Adolfo Celi (questo c’era un po’ dappertutto, allora), “lu primi colpu la donna cadìu”. Insomma, non so com’è, sapete come va con internet, sono finito su una pagina che racconta la trama della Baronessa di Carini (anzi, “L’amaro caso della baronessa di Carini”). Mi vengono i brividi solo a scriverlo (ecco un posto dove non andrò mai nemmeno morto: Carini, con quel nome traditore). Era uno sceneggiato formidabile (allora ci sembrava formidabile, almeno), torbido e terribile, trasmesso dalla Rai negli anni Settanta. Credo che lo abbiano dato sul satellite di recente, ma non ho voluto rivederlo: al massimo rivedrei Poldark, o Ho incontrato un’ombra, che pure era tosto. Comunque, quel che volevo dire è che su Pagine70 (www.pagine70.com), non solo ho scoperto che la canzone della sigla la cantava Gigi Proietti, e questo voi scafati già lo sapevate. Ma sapevate anche che nella Baronessa di Carini aveva una parte pure Enrica Bonaccorti ventenne?