Roba da ragazzini

Luca Sofri

Vanity Fair, 22 aprile 2004

Ma lo spot della Nike non è la fine del mondo? Quello con i giocatori di Brasile e Portogallo che cominciano ad affrontarsi negli spogliatoi come dei bambini e sciorinano un’antologia di capolavori del palleggio e del dribbling, fino a che un arbitro esausto delle loro buffonate non ne falcia uno a gamba tesa sulla fascia. Io lo vedo e mi commuovo. È una roba da maschi? Può darsi. Non tanto perché il calcio sia una cosa da maschi. Ma perché quello che mi commuove, ho capito, è la dimensione infantile del rapporto con il pallone e con la competizione. In quello spot c’è un machismo da ragazzini, una gara a chi ce l’ha più lungo, una sfida puerile a sfottere l’avversario ed esibire la propria spacconeria, che sono intollerabili in tutte le loro manifestazioni della vita adulta, purtroppo numerose assai. Ma sono eccitanti e meravigliose quando sono confinate al pallone. Quando fai un tunnel al tuo uomo, gli accarezzi la testa e guardandolo negli occhi gli dici “olè”. Una volta si diceva che giocare a pallone – o a qualcos’altro – permetteva agli uomini di sfogarsi. Invece ci siamo messi a sfogarci continuamente, inadeguatamente, esibendo noi stessi, le nostre piccinerie, i nostri incoscienti egoismi, dovunque ci capiti. E poi c’è tutta la retorica del calcio malato, dei soldi che hanno rovinato il calcio, dei troppi interessi. In quello spot, uno di questi maggiori interessi ci fa credere che invece è tutto un gioco stupendo di bambini. E io ci casco.