Guardi videocassette porno?
Luca Sofri
Vanity Fair, 21 ottobre 2004
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Una tazzina di caffè, un quaderno aperto scritto in bella calligrafia, giornali mezzi letti, tovaglietta etnica, la luce che entra dal balcone, una pianta da appartamento: sono i soggetti di una foto in bianco e nero virata blu e un po mossa, gradevolmente mossa. Diciamo che se uno ha già maturato su di lui unimpressione di conventicole milanesi fighine e di sinistra, tutte Adelphi e Hi-Tech, la copertina del nuovo disco di Ludovico Einaudi non aiuta ad allontanarla. Si chiama Una mattina, e nelle note allinterno cè scritto che parla di me adesso, della mia vita, delle cose che mi circondano. Del mio piano che ho soprannominato tagore, dei miei figli Jessica e Leo, del tappeto kilim arancione che illumina il soggiorno, delle nuvole che passano lente come navi nel cielo, del sole che entra dalla finestra
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Ludovico Einaudi è un compositore e pianista di studi classici, allievo di Berio, autore di colonne sonore e cose teatrali. Ha quarantotto anni. A un certo punto, ha cominciato a incidere raccolte di canzoni per solo pianoforte scritte da lui. Si tratta proprio di canzoni, anche se nessuno le canta. Uno dei suoi molti talenti è la capacità di inventare melodie magnifiche, dolci e malinconiche e di costruirne delle piccole opere di piano basate sulla reiterazione. Malgrado il genere non sia esattamente mainstream, né di grande appeal per i sistemi moderni della comunicazione discografica, ha venduto un sacco di dischi, in Italia e fuori, e soprattutto in Gran Bretagna. E si è costruito un culto di fans che ha ormai superato di molto i confini dei loft milanesi (ho dei fans metallari, dice tra il fiero e il perplesso).
Vive a Milano, e viene dalla stirpe degli Einaudi, quelli delle case editrici e delle presidenze della Repubblica. Se entrate in una casa di radical-chic milanesi (esistono, esistono) troverete tutti i suoi dischi (e un kilim arancione, probabilmente). Lultimo posto dove ho sentito un suo cd è una casa di architetti milanesi a Filicudi. Il primo, parecchi anni fa, una casa di attori milanesi a Milano.
E poi cè tutto quellambaradàn formale della copertina, e di questo alone di intimismo elegante, di cose piccole e calde, che pare avere per nido la distanza tra una poltrona di vimini e e una giacca di velluto. E allora la prima cosa che gli chiedo è ma tu sei proprio così?. Lui cerca di capire meglio cosa intendo, pare spiazzato. Quindi è così. I piedi nudi sul tappeto, i divani bianchi, i cd di classica e di Caetano Veloso.
Voglio dire: hai dei figli?
Sì, due
E li picchi?
Ma no
Guardi videocassette porno?
No
Guardi il Grande Fratello
No, non guardo mai la televisione
Quindi è così.
Il nuovo disco è molto bello, come quelli prima e di più. I puristi degli ambienti accademico-classici da cui proviene storcono un po il naso sulle sue cose, per le solite superficialità e invidie di chi si crede tutore della fede. Pensano che sia commerciale, che fa ridere di fronte alla sua modestia e allattenzione alle cose che fa. Camminiamo per il centro di Milano, attraverso la bella mostra di foto di Yann-Arthus Bertrand, la cui opera ha qualcosa di simile a quella di Einaudi, nel rapporto tra raffinatezza, classicità e successo commerciale. Ludovico Einaudi è vestito di nero, ma non quel nero preconfezionato con cui vanno in giro quelli che oggi si credono artisti siano architetti o redattori di moda -, un nero più vissuto e trascurato, una giacca di velluto a coste, una maglietta ingrigita. Mi ascolta chiedergli di sé e guarda avanti, a terra, con lattenzione e la concentrazione che si riserva di solito a qualcuno che ti parla in unaltra lingua. Tra la gente che affolla il centro e i tram che passano gli domando se abbia anche frequenza con la bruttezza del mondo, con la violenza, con la volgarità, e mentre parlo mi tira indietro con un braccio: andiamo via da qui, che cè casino
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A me non interessa conoscere tutto, non si può conoscere tutto: piuttosto che vedere cose brutte e mal fatte in televisione preferisco investire il tempo in cose che mi piacciono.
Non fa una grinza.
Hai mai fatto ballare qualcuno, con la musica?
Sì, sì: una volta mi hanno invitato in un club a Londra a scegliere la musica della serata, mi sono divertito moltissimo: ho fatto il deejay.
E cosa hai messo?
Bach, Miles Davis
E ballavano?
Beh, ho messo anche Bob Marley.
Qualche anno fa decise che voleva provare un rapporto con il pubblico più intenso e cominciò a fare concerti: i primi anni ero molto spaventato, adesso mi diverto. Tra poco comincia la tournée del nuovo disco, e andrà anche in Gran Bretagna, dove una radio maggiore lha adottato e promosso. Suonerà alla Royal Festival Hall. Non so comè, finiamo a parlare di Carla Bruni e del suo disco dellanno scorso. Ci sono due canzoni che mi piacciono moltissimo: nelliPod cè questa funzione random per cui scopro continuamente cose nuove a cui mi affeziono.
Non ti è mai capitato che qualcuno associasse la tua musica alle cose new age?
Sì, e mi ha dato molto fastidio. Intanto perché i miei riferimenti sono altri, e poi perché quella definizione è diventata un calderone di stupidaggini: il suono della foresta, le voci dei delfini
Ha una figlia grande, di 21 anni, che canta. Leo invece ha 13 anni e lui e suo padre sono stati assieme in California, questestate: è stato stupendo, lui si è appassionato a tutta la musica con cui ero cresciuto anchio. Sono stati a Bodega Bay, dove non cè più il bar sul moletto, quello degli Uccelli di Hitchcock.
Leo è milanista, adesso andiamo allo stadio assieme, mi piace moltissimo
Allo stadio? Sei matto? Con tutto quel baccano?
Sì, anche i miei amici mi prendono in giro: non mi stimano un vero tifoso
Ci salutiamo di nuovo tra una foto del deserto e una dellAmazzonia. Grazie, dice Ludovico Einaudi, è stata unintervista diversa dal solito, e si rincammina per la sua città.
È così.
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