La tivù e l'educazione sentimentale

Luca Sofri

Vanity Fair, 25 marzo 2004

Non vi paia un racconto da maschi, questo: esso cela sensibili lezioni anche per le madri e le fidanzate in ascolto. Quando ero bambino io, la televisione offriva assai poche occasioni di approfondimento erotico. Il breve carnevale offerto dalla deregulation delle tv locali, celebrato da una festa di porno hard a tutte le ore della penombra (al paese mio il canale di riferimento si chiamava Telecentro, e aveva tutto un catalogo di cortometraggi in danese) e i cui cultori erano riconoscibili per gli sbadigli durante l’interrogazione di matematica il mattino dopo, doveva ancora venire. Le occasioni di intravedere qualcosa andavano cercate con il lanternino e senza telecomando. Mi ricordo benissimo dell’eccitazione intorno al videoclip di Bob Seger, in cui per alcuni decimi di secondo compariva un topless, o del culto di Lupin III, il cartone giapponese – peraltro formidabile e tuttora trasmesso – la cui protagonista femminile (Fujico o Margot, a seconda delle traduzioni) aveva in un paio di puntate mostrato le tette. Se ci penso – madeleine erotica – mi eccito di nuovo, altro che calendari.
Beh, tutto questo per dire dell’invidia per i ragazzini di oggi, che hanno la ventura di poter godere delle patinate inquadrature di dettaglio di Pamela Anderson e certe altre playmates californiane, opportunamente legate e maltrattate di quando in quando, in un telefilm del pomeriggio di Italia Uno che si chiama Vip. Se solo avessi trent’anni di meno.