Fadista!

di Luca Sofri

Vanity Fair, 26 maggio 2005

Anni che ci provo, e non ho ancora capito bene cosa sia, il fado. Credo sia inevitabile: il fado è un modo di essere, uno stato dell'anima, tutte quelle cose lì. O ci sei dentro, o ne sei fuori. Io ne sono fuori, direi. Malgrado questo, ho imparato alcune cose facili. La prima mi piace molto ed è che la parola “fado” significhi fato, destino. Poi so che si dice abbia diverse radici, africane, arabe e infine portoghesi, e che ci siano due grandi scuole, quella di Lisbona e quella di Coimbra. E so che c'è un repertorio fisso di strutture musicali tradizionali su cui si sono poi innestate variazioni e innovazioni. Infine so che la più grande cantante di fado di tutti i tempi fu Amalia Rodriguez. E che ogni volta che arrivava una nuova cantante portoghese si diceva “è la nuova Amalia”. Questo fino a che non arrivò Mariza, quattro anni fa. Da allora non lo si dice più di nessun'altra.
“Fino a pochi anni fa il fado era praticamente ignorato nel resto del mondo: e anche in Portogallo era considerato una cosa antica, fuori moda. I miei amici, a scuola, mi prendevano in giro. Per alcuni anni, io stessa abbandonai il fado per dedicarmi a cose più rock e giovanili”.
Mariza adesso ha trent'anni, e ha venduto in tutto il mondo quasi un milione di copie dei suoi primi due dischi. “Transparente”, il terzo, è uscito lo scorso 25 aprile, la festa della rivoluzione portoghese dei garofani.
“All'inizio in Portogallo tutti storcevano il naso: per gli estimatori del fado non ero abbastanza vestita di nero, non avevo una lunga coda di cavallo nera, ero troppo fuori dai canoni. Per i giovani, invece, il fado era una cosa da vecchi”.
I genitori di Mariza, che era nata in Mozambico, avevano aperto un locale nel quartiere lisboeta di Mouraria; uno di quei locali dove ogni sera la gente comune cantava il fado e gli altri avventori giudicavano. Lei iniziò a cinque anni: ci fu dentro da subito. Diversi anni dopo, passata la parentesi rock, divenne l'attrazione di un altro locale di fado, e lì le proposero di fare un disco. Lei cadde dalle nuvole.
“Non avevo ancora capito cosa volessi fare nella vita, ma di certo non immaginavo di cantare per lavoro. Mi venne da ridere, e pensai che sarebbe stato carino avere dei dischi con le mie canzoni, da regalare ai parenti”.
Invece la casa discografica olandese che le produsse il disco sapeva bene come vendere la world music. Mentre nel suo paese, al sentirla cantare, i puristi abbandonarono i dubbi sul look; e nel vederla i giovani cominciarono a ripensare il loro ribellismo nei confronti del fado.
“Avevo i jeans, ventisei anni, mi coloravo i capelli: ero una di loro. L'anno scorso abbiamo fatto un concerto a Lisbona, in agosto. Sai com'è Lisbona in agosto? Deserta. Speravamo di fare qualche migliaio di persone: ne sono venute ventimila”.
Un'altra cosa che ho imparato, è che quando un cantante di fado è molto bravo, il pubblico segnala il poroprio apprezzamento gridandogli “fadista!”.
“Certo. Fadista, uno non lo dice di sé. Io non direi mai che sono una fadista. Te lo dicono gli altri, se te lo meriti”.
Mariza è imbarazzantemente gentile e amichevole con l'intervistatore. Minaccia di offendersi solo quando la chiamo “diva”. E corrisponde esattamente alla passione totalizzante associata con il fado: quando parla dei suoi concerti, o della musica, è rapita, illuminata. Dice cose come “la musica ti scorre addosso, la senti come un velluto”.
“Qualche giorno fa, al concerto di Londra, ho finito col piangere per la commozione. È una cosa che non sopporto, che non mi perdono: ma non ho potuto resistere”.
Se lo leggessi in un'intervista penserei che un po' ci fa. Invece la vedo, e le credo. Provo a chiederle se non le stia stretto, il fado. Non avrebbe voglia, alla fine di un concerto, come bis, di fare “Satisfaction”? Mi guarda come se fossi matto.
“Noooo! E come farei? Io faccio concerti per parlare con le persone che vengono, come se venissero a casa mia. Per stare insieme. Non è una cosa per il mio divertimento. E la mia lingua è questa, il fado”.
È invidiosa del mio iPod - “vorrei comprarlo al mio negozio di Lisbona, ma sono sempre via” - e allora le chiedo cosa ci metterebbe dentro.
“Maria Callas, soprattutto quando canta Puccini. E Joni Mitchell. E Stevie Wonder. E Nina Simone”.
Confortato dalla citazione delle glorie nazionali, le chiedo se sa di Trapattoni, che sta vincendo il suo ennesimo scudetto, questa volta con il Benfica, in Portogallo. Mariza sgrana gli occhi ed esibisce una garbata curiosità.
“Davvero? No, non capisco niente di calcio. Una volta ho visto una partita con degli amici, e volevo davvero essere all'altezza, così stavo attenta, facevo il tifo, e poi ho visto un giocatore con una fascia nera al braccio e ho detto 'poverino, gli è morto qualcuno?'. Era il coso…”
Il capitano…
“Sì, il capitano, bravo. Mi hanno trattato come una deficiente”
Poi mi dice delle cose che però non devo scrivere sulla musica scaricata da internet, e delle cose che però non devo scrivere su quale città preferisca tra Roma e Milano. E anche una cosa del nuovo disco.
“È semplicemente il nuovo disco: prima ero sempre 'la nuova Amalia Rodriguez' e mi sembrava di dover convincere tutti che ero qualcuno. Adesso sono più rilassata, sono Mariza. Amalia è un mito”.