Internet, il polverone mediatico
|
Ci sono alcune cose formidabili e ovvie nell'intervista
di Annalisa Piras a Michael Bloomberg, sull'Espresso della settimana
scorsa. Bloomberg è il creatore di Bloomberg, il
servizio di informazione economica esploso anche su internet,
in competizione con la Reuters per il posto di numero uno tra
i media finanziari. Alcune delle cose che dice, non da oggi,
sono queste. "Non bisogna confondere una tecnologia per
una rivoluzione", "La gente non ama comprare su internet",
"Internet non cambierà il mondo e non ci sono soldi
da fare", "La pubblicità? Noccioline".
Sono cose formidabili, dette da uno che sta dentro internet fino
al collo, o no? No, dice lui, sono cose ovvie: "La colpa
è di voi giornalisti e di alcuni analisti che hanno fatto
credere che due ragazzini in un garage potessero competere con
Wal-Mart (il colosso della grande distribuzione USA)". E
"il polverone mediatico è pieno di cifre ridicole".
Con internet non si fanno i soldi, dice in sintesi Bloomberg,
e i media sono responsabili della grande illusione. Non che qualche
san Tommaso non avesse già provato a sostenerlo, ma se
lo dice uno che è il più famoso tycoon dell'informazione
finanziaria, pur con la spacconeria del personaggio, la controtendenza
comincia a farsi largo.
Lo stesso giorno, sul Corriere della Sera, intanto, era ripresa
in piccolo un'analisi del Los Angeles Times sulla crisi dell'informazione
online nel suo complesso: gli utenti si moltiplicano, i lettori
crescono, la tv cede pubblico a internet, ma i licenziamenti
e le chiusure fioccano. Semplicemente, non ci sono guadagni.
La questione era già stata affrontata pochi mesi fa, in
particolare da alcuni servizi del New York Times, dopo il licenziamento
di quattordici persone da Salon e la chiusura di un paio di grossi
siti di informazione. Negli stessi giorni, i giornali italiani
enfatizzavano solamente il boom dei lettori online.
Sul numero della settimana scorsa di Diario, infine, Alessandro
Robecchi dedica la sua rubrica su internet al wap, il protocollo
per l'uso della rete col telefonino, sbandierato come rivoluzione
nella rivoluzione solo tre mesi fa, e poi già oggetto
di qualche dubbio: "potete buttarlo nel cesso, con buona
pace delle ragazze in barca a vela", dice Robecchi dopo
alcuni fallimentari tentativi di utilizzo. Ma che il wap sia
stato sopravvalutato, almeno rispetto alle sue attuali possibilità,
lo si legge in giro da qualche tempo. Manca solo un Bloomberg
della telefonia che accusi "voi giornalisti" di "polverone
mediatico".
Che il polverone mediatico ci sia stato e ci sia è sotto
gli occhi di tutti. Fra qualche anno forse usciranno inchieste
in cui gruppi di giornalisti faranno ammenda degli eccessi di
questi anni e dichiareranno che forse Jeff Bezos e Renato Soru
non erano gli uomini della provvidenza. La connivenza con le
procure risalterà. Per ora, un accenno a internet guarnisce
qualsiasi notizia di una patina d'oro, nelle redazioni. Ma un
seme di fronda è gettato, evidentemente. Adesso, come
accadde all'alba della rete, lo gettano con fatica e dati alcuni
esperti competenti. Poi, forse, lo sboom della new economy diventerà
di moda e saremo daccapo. Nessuna notizia potrà competere
con un bel fallimento online, un dato un po' negativo, un trend
rallentato, il suicidio di un day trader in crisi. Si ricomincia,
scaldiamo i corsivi. |