Lo Stato del Terrore

Michael Crichton

(tratto da State of fear, traduzione svelta di Luca Sofri)

Erano seduti su una panchina di fronte alla sala dei convegni, subito oltre la gente che affollava l'entrata. C'era una gran confusione, ma Hoffman la ignorava del tutto. Parlava rapidamente, con grande animazione, gesticolando così vivacemente che spesso colpiva Evans, ma non sembrava farci caso.
“Dieci anni fa, ho cominciato con la moda e i gerghi”, disse, “essendo i gerghi una specie di moda linguistica. Volevo capire cosa determina i cambiamenti nella moda e nel linguaggio. Scoprii rapidamente che questo qualcosa non c'è. Le mode cambiano per ragioni arbitrarie e malgrado si possano identificare delle regolarità - cicli, periodicità, relazioni - queste sono solo descrittive, ma non esplicative. Mi segue?”
“Credo di sì”, disse Evans.
“In ogni caso, capii che queste relazioni e periodicità potevano essere considerati sistemi autonomi. O se preferisce, ecosistemi. Verificai l'ipotesi e la trovai valida. Così come esiste un'ecologia del mondo naturale, nelle foreste e nelle montagne e negli oceani, così c'è un ecologia del mondo umano delle astrazioni mentali, delle idee e dei pensieri. E io l'ho studiata”
“Capisco”.
“Nella cultura moderna, le idee nascono e scompaiono continuamente. Per un po' tutti sono convinti di una cosa, e poi, un po' alla volta, smettono di crederci. Alla fine, nessuno si ricorda più quell'idea, come accade quando nessuno ricorda più un linguaggio perduto. Le idee sono a loro volta una specie di moda, capisce?”
“Capisco, professore, ma perché…”
“Perché le idee passano di moda, si sta chiedendo?”, disse Hoffman, ma stava parlando a se stesso. “La risposta è semplice: lo fanno, punto. Nella moda, come nell'ecologia naturale, ci sono fratture. Improvvise revisioni dell'ordine stabilito. Un fulmine brucia una foresta. Una nuova specie appare sulla superficie bruciata. Cambiamenti improvvisi, accidentali, casuali, imprevisti. Questo è ciò che il mondo ci mostra continuamente”.
“Professore…”
“Ma così come possono cambiare all'improvviso, le idee possono anche sopravvivere a lungo oltre il loro tempo. Alcune idee continuano a venire condivise dal pubblico molto tempo dopo che gli scienziati le hanno abbandonate. La parte destra e la parte sinistra del cervello sono un esempio perfetto. Negli anni Settanta questa idea guadagna popolarità dal lavoro di Sperry, che alla Caltech studia un gruppo definito di pazienti che hanno subito interventi chirurgici al cervello. Le sue scoperte non valgono se non in questo gruppo di casi. E Sperry nega ogni valore più esteso dei suoi risultati. Nel 1980, è ormai chiaro che l'idea della parte destra e della parte sinistra è del tutto sbagliata: in una persona sana le due parti non lavorano separatamente. Ma nella cultura popolare il concetto rimane vivo per altri vent'anni. La gente ne parla, si scrivono libri basati su quest'idea, per decenni dopo che gli scienziati l'hanno abbandonata”.
“Certo, è molto interessante…”
“Allo stesso modo, nel pensiero ambientalista fino al 1960 era del tutto accettato che esistesse una cosa chiamata “l'equilibrio della natura”. Cioè che se la si lascia stare, la natura raggiungerà uno stato autonomo di equilibrio conservativo. Una bell'idea con un lungo curriculum: i Greci lo pensavano già tremila anni fa, senza nessuna base scientifica. Sembrava buona e basta. Comunque, nel 1990 nessuno studioso ci credeva più, all'equilibrio della natura. Gli esperti di ecologia la considerano sbagliata. Falsa. Un'invenzione. Adesso parlano di squilibrio dinamico, o di stati multipli di equilibrio. Hanno capito che la natura non è mai in equilibrio. Non lo è mai stata e non lo sarà mai. Al contrario, la natura è sempre in uno stato di squilibrio, e questo significa…”
“Professore”, intervenne Evans, “io vorrei chiederle…”
“Questo significa che gli esseri umani, un tempo accusati di essere i grandi scompigliatori dell'ordine naturale, non lo sono per niente. L'intero ambiente è incessantemente scompigliato comunque”.
“Ma George Morton…”
“Sì, sì, lei si chiede di cosa io abbia parlato con George Morton. Ci sto arrivando. Non sto perdendo il filo. Perché naturalmente Morton voleva sapere delle idee ambientaliste, e soprattutto delle idee sulle crisi ambientali”.
“Che cosa gli ha detto?”
“Se studia i mezzi di comunicazione, come abbiamo fatto io e i miei studenti, cercando di trovare dei cambiamenti nell'esposizione dei concetti, lei scoprirà qualcosa di molto interessante. Abbiamo analizzato i testi dei programmi di informazione dei maggiori network - NBC, ABC, CBS - e gli articoli dei giornali di New York, Washington, Miami, Los Angeles e Seattle. Abbiamo contato la frequenza di alcuni concetti e termini usati dai media. I risultati sono stati impressionanti”. Hoffman si interruppe per un momento.
“Cosa avete scoperto?”, chiese Evans, andandogli dietro.
“C'è stata una svolta nell'autunno del 1989. Prima di allora, i mezzi di comunicazione non usavano molto termini come crisi, catastrofe, cataclisma, piaga, o disastro. Per esempio, durante quel decennio, la parola “crisi” apparve negli articoli più o meno quanto la parola “bilancio”. Inoltre, prima del 1989 aggettivi come atroce, eccezionale, temuto, non erano comuni nei telegiornali o sui titoli dei giornali. Ma poi tutto cambiò”.
“In che modo?”
“Questi termini cominciarono a diventare più frequenti. La parola catastrofe fu usata nel 1995 cinque volte più spesso che nel 1985. Il suo uso raddoppiò ancora nel 2000. E anche gli articoli cambiarono. C'era molta più enfasi sulla paura, il pericolo, l'ansia, l'incertezza, il panico”
“E perché nel 1989?”
“Ah. Buona domanda. Domanda centrale. In generale, il 1989 sembra essere stato un anno come gli altri. Un sottomarino sovietico affondato in Norvegia; piazza Tienanmen in Cina; la Exxon Valdez: Salman Rushdie condannato a morte; Jane Fonda, Mike Tyson e Bruce Springsteen divorziano; la Chiesa Episcopaliana nomina un vescovo donna; la Polonia permette ai sindacati di scioperare; il Voyager va su Nettuno; un terremoto a San Francisco distrugge i ponti autostradali; e sia la Russia, che la Francia, e l'Inghilterra, compiono degli esperimenti nucleari. Un anno come gli altri. Ma l'aumento dell'uso della parola crisi può essere collocato con precisione nell'autunno di quell'anno. E coincide esattamente con la caduta del Muro di Berlino. Che avvenne in novembre, quell'anno”.
Hoffman tacque di nuovo, e fissò Evans con uno sguardo carico di significato.
Evans disse “Mi dispiace professore, mi sfugge”.
“Sfuggiva anche a noi. All'inizio pensammo che non ci fosse relazione. Ma c'era. Il crollo del Muro segnò la fine dell'impero sovietico. E la fine della Guerra Fredda che era durata per mezzo secolo”
Un altro silenzio. Un altro sguardo soddisfatto.
“Mi dispiace”, disse ancora Evans. “Io avevo solo tredici anni, e…” Si strinse nelle spalle: “Non capisco dove voglia andare a parare”.
“Voglio andare a parare sul concetto di controllo sociale, Peter. Alla necessità per ogni stato sovrano di esercitare un controllo sul comportamento dei suoi cittadini, per tenerli docili e mantenere l'ordine. Per evitare che guidino sulla corsia sinistra, o sulla destra, a seconda dei casi. Per far sì che paghino le tasse. E sappiamo bene che il controllo sociale si esercita al meglio attraverso il terrore”.

“Il terrore”, ripetè Evans.
“Esatto. Per cinquant'anni, le nazioni occidentali avevano mantenuto i loro cittadini in uno stato di terrore perpetua. Terrore degli altri. errore della guerra nucleare. La minaccia comunista. La cortina di ferro. L'impero del male. E nei paesi comunisti, lo stesso. Paura di noi. Poi, tutto a un tratto, nell'autunno del 1989 finì tutto. Via, sparito. Fine. La caduta del Muro di Berlino lasciò un vuoto di paura. La natura rifiuta i vuoti. In qualche modo andava riempito”.
Evans fece una smorfia. “Sta dicendo che le paure ambientaliste presero il posto della Guerra Fredda?”
“È provato. Certo, adesso abbiamo il fondamentalismo radicale e il terrorismo tra le nostre paure, e sono di certo ragioni valide per essere spaventati, ma non è questo il punto. Il punto è che c'è sempre qualcosa di cui aver paura. Quel qualcosa può cambiare col tempo, ma la paura non ci lascia mai. Prima del terrorismo temevamo l'inquinamento del pianeta. E prima c'era la minaccia comunista. Malgrado la ragione possa cambiare, il punto è che non rimaniamo mai senza la paura. La paura pervade la società in ogni suo aspetto. Sempre”.
Si spostò sulla panchina, allontanando lo sguardo dalla folla.
“Ha mai fatto caso a quanto sia straordinaria la cultura della società occidentale? Le nazioni industrializzate offrono ai loro cittadini un livello di sicurezza, salute e di benessere mai visti prima. La durata media della vita è aumentata del cinquanta per cento in un secolo. E lo stesso gli uomini moderni vivono nella paura. Hanno paura degli stranieri, delle malattie, del crimine, dell'ambiente. Hanno paura delle case in cui vivono, del cibo che mangiano, della tecnologia che li circonda. Sono presi dal panico per cose che nemmeno possono vedere, germi, sostanze chimiche, additivi, inquinanti. Sono spaventati, nervosi, irritabili e depressi. E cosa ancora più straordinaria, sono convinti che l'intero pianeta stia scomparendo intorno a loro. Fantastico! Come la stregoneria: un inganno formidabile, una fantasia globale degna del Medioevo. Stiamo andando tutti all'inferno e dobbiamo vivere nel terrore. È fantastico”.
“Come è stato possibile? Malgrado pensiamo di vivere in paesi diversi - Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti - in effetti abitiamo tutti nello stesso stato: lo Stato del Terrore. Come è stato possibile?”
Evans non rispose. Aveva capito che sarebbe stato superfluo.
“Beh, le dirò io come”, disse Hoffman. “Ai vecchi tempi - prima che lei nascesse, Peter, - gli abitanti dell'Occidente pensavano che i loro stati nazione fossero governati da una cosa chiamata il complesso industrial-militare. Eisenhower ne mise in guardia gli americani negli anni Sessanta, e dopo due guerre mondiali gli europei sapevano bene cosa significasse. Ma il complesso industrial-militare non è più il fattore guida delle nostre società. Negli ultimi quindici anni siamo stati sotto il controllo di un complesso del tutto nuovo, molto più potente e molto più pervasivo. Io lo chiamo il complesso politico-legal-mediatico. Il PLM. Ed è interamente dedicato a instillare la paura nella popolazione, fingendo di promuovere la sicurezza”.
“Ma la sicurezza è importante”.
“Mi faccia il favore. Le nazioni occidentali sono favolosamente sicure. Ma la gente pensa che non lo siano, per via del PLM. E il PLM è solido e potente proprio perché raggruppa molte istituzioni della società. I politici usano la paura per controllare la popolazione. Gli avvocati hanno bisogno di pericoli da portare in tribunale per guadagnarci soldi. I media usano la paura per catturare più pubblico. Insieme, queste tre istituzioni sono così forti che possono fare i loro affari anche se il pericolo è assolutamente privo di fondamento. Anche se non ha nessuna verosimiglianza. Per esempio, prenda le protesi al seno”.
Evans sospirò, scuotendo la testa. “Le protesi al seno?”.
“Sì. Si ricorderà che la chirurgia al seno fu accusata di favorire il cancro e alcune malattie autoimmuni. Malgrado le prove statistiche che non era vero, uscirono pagine e titoli in questo senso, ci furono cause enormi, clamorose discussioni parlamentari. I produttori di protesi, Dow Corning, furono costretti a fallire dopo aver pagato 3,2 miliardi di dollari, e le giurie assegnarono enormi risarcimenti ai querelanti e ai loro avvocati.
“Quattro anni dopo, studi epidemiologici certi dimostrarono oltre ogni ragionevole dubbio che le protesi non favorivano nessuna malattia. Ma a quel punto la crisi aveva già fatto il suo corso, e il PLM era già altrove alla ricerca di nuove paure, di nuovo terrore. Lasci che glielo dica, è così che funziona la società moderna: grazie alla costante creazione di paure. Non c'è nessun sistema di controllo reciproco, nessun limite al continuo sviluppo di paure su paure su paure…”
“Beh, è la libertà di opinione, la stampa è libera”.
“Questa è la classica risposta del PLM. È così che se la cavano”, disse Hoffman. “Ma provi a pensarci. Se non si può gridare “Al fuoco!” in un teatro affollato quando non c'è nessun fuoco, perché si deve poter gridare “Cancro!” sulle pagine del New Yorker quando non c'è nessun cancro? Quando è falso? Abbiamo speso più di venticinque miliardi di dollari per rimuovere le linee elettriche cancerogene ed era una balla. E allora?, dirà lei. Glielo leggo in faccia. Sta pensando siamo ricchi, possiamo permettercelo. Sono solo venticinque miliardi di dollari. Ma il problema è che venticinque miliardi di dollari sono più del prodotto nazionale lordo dei cinquanta paesi più poveri del mondo, messi insieme. Metà della popolazione mondiale vive con due dollari al giorno. Quindi quei venticinque miliardi basterebbero a far vivere trentaquattro milioni di persone per un anno. O avremmo potuto aiutare tutti malati di AIDS in Africa. Invece, li buttiamo nel cesso per via di una balla pubblicata da una rivista i cui lettori la prendono sul serio. Mi creda. Uno spreco di soldi fenomenale. In un altro mondo, sarebbe uno spreco criminale. Ci farebbero un processo tipo Norimberga - capo di imputazione, lo spreco spietato della ricchezza occidentale in assolute stupidaggini - e mostrerebbero le immagini dei bambini morti in Africa e in Asia di conseguenza”.
Si fermò il tempo di respirare. “Come minimo, stiamo parlando di una vergogna morale. Una cosa per cui i nostri capi religiosi e i maggiori leader umanitari dovrebbero tuonare contro tutto questo. Ma ne ha sentito qualcuno? Macché. Al contrario, si aggiungono al coro. Promuovono “Cosa guiderebbe Gesù?” (una campagna per ottenere la produzione di autovetture più 'ecocompatibili', ndt). E dimenticano che Gesù avrebbe solo guidato mercanti di paure e falsi profeti fuori dal tempio”.
Si stava scaldando parecchio, adesso.
“Stiamo parlando di un quadro che è profondamente immorale. A dirla tutta, è disgustoso. Il PLM ignora senza pietà i bisogni degli esseri umani più poveri e disperati del pianeta pur di fornire una poltrona ai politici, un programma agli anchorman e una Mercedes cabrio agli avvocati. Ah, e una Volvo ai professori universitari. Non ci dimentichiamo di quelli”.
“Come quelli?”, disse Evans. “Che c'entrano i professori universitari?”
“Bah, è un'altra storia”.
“Ha una sintesi?”
“Non proprio. I titoli non sono storie, Peter. Ma cercherò di essere breve. Il punto è questo: negli ultimi anni il mondo è cambiato. Adesso viviamo nella società dell'informazione, la società del sapere, come vogliamo chiamarla. E questo ha un impatto enorme sulle nostre università.
“Cinquant'anni fa, se volevi esercitare una cosiddetta professione dell'ingegno, cioè essere un intellettuale, vivere del tuo cervello, dovevi lavorare nell'università. La società non aveva altro posto per te. Qualche giornalista poteva considerarsi intellettuale, al massimo. Ma nessun altro. Le università attraevano coloro che rinunciavano ai beni terreni per condurre una vita intellettuale monastica, insegnando valori eterni alle giovani generazioni. Il lavoro dell'intellettuale era un feudo esclusivo delle università.
“Ma oggi, interi settori della società fanno un lavoro intellettuale. La nostra intera economia è basata sul lavoro intellettuale. Il trentasei per cento degli occupati lavora con la conoscenza. Più di quanti siano impiegati dalla produzione industriale. E quando i professori decisero che non volevano più insegnare ai giovani, lasciando che lo facessero i loro laureati che ne sapevano molto meno e non si sapevano spiegare, quando questo successe le università entrarono in crisi. A cosa servivano più? Avevano perso la loro esclusiva sulla vita intellettuale. Non insegnavano più ai giovani. Più di tanti testi teoretici sulla semiotica di Foucault in un anno non si potevano pubblicare. Che fare delle università? Che ruolo avrebbero avuto nell'era moderna?”
Si alzò in piedi, come se la domanda gli avesse dato nuova energia. Ma subito si sedette di nuovo.
“Successe”, continuò, “che le università si trasformarono, negli anni Ottanta. Un tempo bastioni di coraggio intellettuale in mondo bigotto, sede di libertà sessuali e innovazioni, adesso divennero gli ambienti più chiusi della società moderna. Serviva un nuovo ruolo. Divennero i creatori di paure al servizio del PLM. Oggi le università sono fabbriche di paura. Inventano tutti i nuovi terrori e le nuove ansie sociali. Tutti i codici proibitivi. Le parole che non si possono dire. I pensieri che non si possono avere. Producono una serie incessante di nuove ansie, pericoli e paure sociali che i politici, gli avvocati e i giornalisti possono usare. Cibi che fanno male. Comportamenti inaccettabili. Non si fuma, non si bestemmia, non si scopa, non si pensa. Hanno guidato la danza ormai per una generazione. Piuttosto notevole.
“Lo Stato del Terrore moderno non esisterebbe senza che le università lo nutrissero. C'è un modo di pensare tutto neostalinista che è necessario per sostenere tutto questo, e può funzionare solo in situazioni ristrette, a porte chiuse, senza scrutinio esterno. Nelle nostre società, questo è possibile solo nelle università, fino ad ora. L'idea che questi luoghi siano “liberal” è uno scherzo. Sono fasciste dentro, glielo dico io”.
Si interruppe e indicò qualcosa verso la strada. “Chi è quel tipo che ci viene incontro? Ha un'aria stranamente familiare”.
“È Ted Bradley, l'attore”, rispose Evans.
“E dove l'ho visto?”
“Fa il Presidente alla tivù”
“Ah, sì. Lui”
Ted si fermò davanti a loro, ansimando. “Peter, ti ho cercato ovunque. Hai il telefono attaccato?”
“No, perché…”
“Sarah ti sta cercando. Dice che è importante. Dobbiamo partire subito. E prendi il passaporto”.
“Dobbiamo? Tu che c'entri?”, disse Evans.
“Vengo anch'io”.

Mentre si alzavano, Hoffman trattenne Evans per la manica. Gli era venuta in mente un'altra cosa. “Non abbiamo parlato dell'involuzione”, disse.
“Professore…”
“È il passaggio successivo nello sviluppo degli stati nazione. E lo stiamo già attraversando. Ne può vedere l'ironia. Dopo tutto quanto, i venticinque miliardi di dollari e dieci anni passati, le stesse ricche conventicole che erano terrorizzate dalle linee elettriche cancerogene stanno comprando dei magneti da legarsi alle caviglie o da mettere nei materassi. Quelli giapponesi sono i migliori, i più costosi, e permettono di godere “il salutare effetto dei campi magnetici”. Gli stessi campi magnetici, solo che ora ne vogliono di più!”
“Perché non si sdraiano su un televisore? O si siedono su un forno a microonde? Tutte cose che prima erano terrificanti”.
“Ne parleremo dopo”, disse Evans, divincolandosi.
“Vendono magneti persino con le riviste di salute! Vivere sani nei campi magnetici! Follia! Nessuno ricorda più cosa pensava solo pochi anni fa! George Orwell. Niente ricordi!”