L'Hobbit della politica

Luca Sofri
GQ, novembre 2007

 

E va bene, dice il Direttore: di questo Martina che hai intervistato lo scorso numero e che è diventato nel frattempo segretario lombardo del Partito Democratico, adesso so molto di più. Ma non sarà mica l'unico giovane in gamba a far politica, no? A destra, non ce ne sono?
Ci sono, ci sono: a sinistra come a destra. Basta volerne parlare, piuttosto che titolare - come ha fatto di recente un quotidiano italiano - “Zanone: non possiamo permetterci di perdere Lamberto Dini”, mettendo un secolo e mezzo e due inesistenze politiche dentro sole otto parole. Prendete Salvatore Santangelo: ha 31 anni, è dell'Aquila, fa politica da quando ne aveva 16 (se ci pensate, ha molta più esperienza politica di Di Pietro o Berlusconi), è nell'esecutivo nazionale di Azione Giovani, il movimento giovanile di Alleanza Nazionale. Quando ha cominciato, non c'era già più il muro e l'MSI stava per scomparire.
“Avevo quindici anni. Non è stato un inizio politico: posso dire di essere stato stato una vittima della propaganda, mi colpivano questi manifesti, la fiaccola del fronte… Negli anni Novanta il Fronte era una cosa molto più attraente di quanto non si pensi. Si faceva ambientalismo, si usava una comunicazione grafica molto accattivante, c'erala vicinanza col terzomondismo, con le lotte di indipendenza. Io mi interessai a delle iniziative sull'Irlanda, una mia grande passione. Ma anche il Sudamerica, la Palestina. Ho conosciuto Alemanno a un Campo Hobbit a Roma, nel 1993”
La tua famiglia si occupava di politica?
“Mio padre era di destra, ma l'ho scoperto solo tardi. Andai a fare un comizio nel suo paese, e i suoi vecchi amici mi raccontarono che a vent'anni si era candidato con una lista civica vicina alla destra. I miei sono in pensione, erano entrambi impiegati all'ENEL. Ma all'inizio erano diffidenti sul mio impegno politico in generale e sul mio impegno a destra in particolare”
Avevi degli amici, con cui hai cominciato a frequentare la politica di destra?
No, è stata un'iniziativa solitaria. Tra i giovani c'era un conformismo di sinistra, anche a L'Aquila. La prima sezione dove ho messo piede era una sezione del PCI. Ci andavano i miei amici, c'era la musica.
E com'era stare tra i giovani di destra, negli anni Novanta?
Si respirava l'entusiasmo di aver vinto la Guerra Fredda. Nel nostro immaginario la caduta del Muro segnava la liberazione dell'Europa, la possibilità di un terzo polo tra i due blocchi. Tra i primi ad entrare in Romania dopo la caduta di Ceausescu ci furono i ragazzi del Fronte della Gioventù di Trieste, per cercare di capire cosa succedesse. Una delle prime battaglie in cui mi impegnai moltissimo fu una raccolta di aiuti per i profughi croati della guerra in ex Iugoslavia.
E il rapporto con il partito, com'era?
Noi ce la prendevamo con i vecchi del MIS: le sezioni erano divise. Da una prte loro, che ancora nel '93 continuavano con certi orpelli nostalgici, e dall'altra noi che tutto questo lo avevamo superato.
La svolta di Fiuggi è nata da un'intuizione di Fini, ma anche di una parte del Fronte della Gioventù che si era resa conto che le idee potevano avere un ascolto più ampio se ci liberavamo da tutte quelle vecchie sovrastrutture.
Eravate estremisti?
No, eravamo giovani. Io non mi sono mai reputato estremista.
Adesso poi ho fatto già quindici anni di esperienza politica e cambiano gli approcci. Prima avevamo la presunzione di avere le verità, e di avere tutte le risposte in tasca. Oggi forse l'atteggiamento è un po' più problematico. Ed è giusto che sia così, le soluzioni nascono da una capacità di mediare: io oggi a 31 anni sono un fautore delle larghe intese. Poi ci sono sempre i valori non negoziabili, certo. Ma adesso, a differenza di prima, c'è qualcos'altro che si muove alla nostra destra: i centri sociali di destra, vedremo cosa succede con Storace… E bisogna farci i conti, dal punto di vista politico ed elettorale.
E quando hai cominciato ad entrare nei ranghi veri?
Fui eletto in circoscrizione a diciotto anni, e divenni Presidente, con una giunta di centrosinistra. C'era un sindaco dei DS, Antonio Centi, a cui sono rimasto legatissimo. Poi ho fatto il consigliere comunale per due mandati, col centrodestra: ma molto in conflitto dentro il mio partito, quindi le mani in pasta non me le hanno mai fatto mettere. Non ho mai fatto l'assessore, pur essendo sempre tra i primi degli eletti.
E di cosa vivevi?
Vivevo con i miei, facevo lavoretti, d'estate lavoravo nei campeggi…
Oggi di cosa vivi?
Sono giornalista, scrivo su Area, faccio altre collaborazioni. E sono vicepresidente della Gran Sasso Acque, un'azienda municipalizzata.
E come hai fatto a fare carriera politica così presto, solo sbattendoti e dandoti da fare un sacco?
Assolutamente sì. Non mi ha aiutato nessuno, mi hanno aiutato gli altri ragazzi che facevano politica con me.
Dimmi dell'acqua, che di questi tempi se ne parla parecchio…
L'Azienda serve 36 comuni, e l'acqua oggi è un settore strategico per la comunità e per la politica. Solo il pubblico ti può dare tutte le garanzie. Poi il problema con le acque minerali italiani è che arrivano i francesi e si comprano tutto.
Però non è che il pubblico ci abbia sempre garantito, no?
Non so, noi all'Aquila siamo a livelli di qualità tra i primissimi in Italia. Io penso che l'acqua sia una cosa di tutt. La globalizzazione dice che tutto debba diventare privato: io non ho una visione statalista, però alcuni settori strategici penso debbano restare in mano al pubblico. Tra l'altro, chi vince anche commercialmente, sono le aziende miste. In Italia abbiamo privatizzato tutto, con un bagno di sangue: mancava un disegno, mancavano gli attori industriali all'altezza, e la politica era debolissima.
Anche oggi i giovani sono più di sinistra?
No. Sono divisi a metà. Noi andiamo fortissimo negli istituti professionali, nei licei scientifici siamo alla pari, nei classici vince la sinistra. Ma Azione Giovani è il movimento giovanile più numeroso e radicato in Italia. È dal '94 in poi che le cose sono cambiate, dopo Fiuggi. Tra il '96 e il '98 essere di destra era diventato di moda.
E adesso?
Adesso bisogna lavorarci. Io giro come un pazzo l'Italia per creare e partecipare ad iniziative per fare politica e cultura a destra. Che vuol dire anche giochi di ruolo, la solita fantasy, cose divertenti. Quando ha vinto il centrodestra, nel '94 e nel 2001, ha vinto anche su un discorso di individualismo: il popolo delle partite IVA, l'affermazione di ognuno, eccetera. Oggi si ritorna a una dimensione collettiva, c'è un bisogno di appartenenza e identità.
Dove sta la mediazione tra la forza delle identità e l'elasticità e capacità di compromesso?
Allora… Io penso che una nave nasce nel porto, ma non nasce per stare nel porto. Io guardo con molto interesse ipotesi di federazione, o ipotesi di partito unico. Essendo forte il mio radicamento politico, io sono disposto a metterlo in gioco.
Ma i giovani di destra stanno sempre con i giovani di destra?
Guarda, la mia ragazza storica, con cui presto ci sposeremo, è di Rifondazione Comunista e lavora al comune dell'Aquila. Ci siamo conosciuti lì, otto anni fa. Le cose non sono più come prima: prima c'era solo il gruppo di appartenza politica. Tra l'altro, lei ha avuto più problemi di me. I miei amici l'hanno accettata subito, invece lei ha perso gran parte dei suoi amici e delle persone che frequentava.
Quando vi sposate?
Penso l'anno prossimo. Ci stiamo lavorando.
La destra ha una sua autironia, come la sinistra morettiana?
Da noi non c'è tanto l'autoironia quanto lo psicodramma. “Avremmo dovuto fare così”, e gli intellettuali che non vengono coinvolti in modo organico nelle scelte del partito, e la leadership sempre criticata… Un ronzio di sottofondo, che rischia di far perdere la ricchezza di questa fase a destra: per esempio, c'è una fioritura di riviste impressionante a destra.
Come si confronta la tua destra, quella della tua generazione, con un vecchio antiamericanismo simmetrico a quello di sinistra?
Noi abbiamo capito la ferita dell'11 settembre e la guerra in Afghanistan, ma sull'Iraq abbiamo avuto forti perplessità. Ma il vero problema è che dove oggi sulle cartine è disegnata l'Europa c'è un vuoto: e il ruolo USA di controllore del mondo non è bilanciato. E le difficoltà dell'Italia assomigliano a quelle dell'Europa.
Che difficoltà ha l'Italia?
In Italia manca un traguardo esigente. Non c'è una meta comune da raggiungere: non c'è un'ambizone internazionale, non si sa quale debba essere il nostro ruolo. Io posso anche essere d'accordo sulla battaglia che stiamo afcendo contro la pena di morte - io personalmente sono contro la pena di morte - ma mi sembra come quando pensavamo di ottenere il seggio all'ONU alleandoci con i paesi del terzo Mondo. Prendemmo una tranvata clamorosa. Come pensiamo di far passare una moratoria sulla pena di morte, noi che non abbiamo una politica chiara nei confronti della Cina dove portiamo le Olimpiadi, che sappiamo che gli Stati Uniti sono quello che sono, e l'Iran peggio? Alla fine facciamo demagogia. La politica deve porsi obiettivi semplici e raggiungibili. Anche sull'Iraq, un po' più di onestà intellettuale. Potevamo dire: andiamo a Nassirya, perché prima avevamo i pozzi con l'ENI e quindi dobbiamo difendere un interesse nazionale in uno scenario che sta cambiando: e secondo me la gente ci poteva anche stare. Invece si sono dette le cose che si sono dette, ammantando eccetera.
Beh, si fa politica, no?
La politica deve dare risposte chiare, e dividere: è normale che divida, ma una parte poi ti segue. Ha ragione Padoa Schioppa quando parla di “ambizioni timide”, per questo paese. Quando noi eravamo al Governo abbiamo sbagliato: allora si parlava sempre di “declino italiano”. Solo che noi potevamo dire “sì, c'è il declino italiano”, e lavorarci. E invece abbiamo cominciato il balletto di no-è-uno-strumento-che-il-centrosinistra-usa-contro-di-noi. Poi arriva Prodi al governo, e scompare il declino italiano.
Dicevate anche che il declino era generale…
La Spagna ha fatto un balzo in avanti perché ha ritrovato un ruolo storico: oggi i paesi dell'America Latina guardano alla Spagna, non agli USA. E un paese che rischiava di essere una provincia dell'Unione Europea ritorna a essere una potenza “imperiale”, tra virgolette. Noi, qua, non sappiamo neanche cosa succede in Albania. Se tu chiedi a un politico medio italiano chi sia il presidente dell'Albania - dove noi con la missione Pellicano nel '94 abbiamo investito non so quanti miliradi - non lo sa: non abbiamo il minimo rapporto con questo paese. Abbiamo una classe politica che governa il quotidiano. Ma il quotidiano è regressione, se non hai un futuro da conquistare.
Tra le persone, che modelli intenazionali hai?
Rudolph Giuliani. David Cameron. A Giuliani pensavo guardando “Buio nell'anima”, un capolavoro. Neil Jordan è un grande narratore, Jodie Foster fa una performance incredibile. Oggi il cinema americano parla un linguaggio universale. Ti spiegano tutto e il contrario di tutto. “Buio nell'anima” parla di Roma, di Milano. Giuliani ha posto il problema della sicurezza - in modo più articolato delle banalità che si scrivono sulla tolleranza zero - e oggi è un italo-americano che potrebbe diventare presidente della più grande potenza del mondo. E noi in Italia non abbiamo coltivato con lui alcun rapporto. Gli italiani all'estero sono forse il più grande investimento trascurato di questo paese, cervelli in fuga e non.
Sei piuttosto critico sulle cose italiane…
Tu pensa alla mia famiglia: i miei nonni, nessuno dei quattro, non sapevano né leggere né scrivere. I miei genitori si sono diplomati. Mia sorella si è laureata, io sto per laurerarmi, mio fratello si è iscritto all'università. Ma ognuno di noi ha anche una casa, perché i nostri genitori ci hanno permesso di studiare e di avere un piccolo appartamento. Bene, per noi sarà impossibile fare un percorso del genere nei confronti dei nostri figli. La generazione sopra di noi ha ricostruito questo paese, ha avuto quel traguardo esigente.
Però poi sono tornate divisioni fortissime…
Negli altri paesi le classi dirigenti non si dividono sulla storia comune. Qui non se ne può più di vedere i libri di storia usati come clava. La Germania, che ha vissuto conflitti molto più duri e prolungati di noi, in pochi anni ha tirato fuori due film - “La caduta” e “Le vite degli altri” - che fanno i conti con due nodi allucinanti della sua storia: il nazismo e la DDR. Noi qua non riusciamo a tirare fuori una storia comune. Gli americani hanno chiuso il capitolo della guerra civile con “Via col vento”. Noi qua non riusciamo a costruire una cosa che possa chiudere, perché queste stagioni vanno chiuse. Non possiamo rimanere ancorati sempre alle cose di due, tre, cinque decenni fa. Finiscono le guerre, e i prigionieri si mandano a casa. Prendi Gerry Adams, se vuoi un altro modello: è uno che ha chiuso la stagione degli odi. Disarma l'IRA, porta i suoi al tavolo della pace, riesce a far funzionare persino l'Europa.
Secondo te ora cosa succede? Berlusconi è finito o no?
No. Se si va a votare l'anno prossimo, è chiaro che resta Berlusconi. Poi dopo questa fase è tutto in movimento. Io guardo con molto interesse a Tremonti: lui è intelligente, è capace, e scrive cose attualissime.
E che facciamo sui Dico?
Io sono contrario: è un cedimento rispetto alla logica del consumismo.
Sarà, ma come si risolve la questione dei pari diritti per tutti, comprese le coppie omosessuali?
“Eh… (Santangelo esita, per la prima volta) Quindi stiamo parlando del matrimonio dei gay?”
No, stiamo parlando della forma che vuoi tu per garantire pari diritti a tutti.
“Secondo me quella sui Dico è stata una battaglia fuorviante…”
Ne parliamo ancora un po', e a momenti Santangelo mi pare cercare gli argomenti per eludere un argomento su cui non è convinto. E anche questo - non essere convinto - è un'ottima dote politica.