Diaco, che non può che migliorare
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Ignorare Diaco è impossibile, è
andata così. Si può solo fare finta di ignorarlo,
ad essere dei veri signori. Per questo stato di cose ci sono
delle precise responsabilità, ma a tutti capita di commettere
degli sbagli, e spesso sono più gravi. A me Diaco è
simpatico, non lo dico perché valga qualcosa, ma per correttezza
nei confronti di chi leggerà questa recensione del libro
in cui raccoglie e rimaneggia le sue rubriche per il Foglio.
Intanto non può che migliorare. E poi trovo che siano
assolutamente legittimi e palesi il suo desiderio di successo
pubblico, le sue vanità, le ruffianerie e le piccole spacconaggini
con cui si fa strada: : "il mio problema oggi è sopravvivere
e non voglio essere liquidato". Niente della sua invadenza
pubblica nega la voglia di piacere a quelli assai più
anziani di lui a cui deve tale sopravvivenza, di corrispondere
al loro compiacimento ("un accordo politico più largo
tra giovani individualisti e vecchi soli"). Niente nega
il cerchiobottismo per cui se parla male di qualcuno poi cerca
subito di recuperare oppure lo fa per allietare le orecchie di
qualcun altro a portata di voce ("Non c'è uomo o
donna che mi stia veramente sulle palle"). Diaco è
Gigi Marzullo e Red Ronnie assieme, senza l'indice e più
adattabile: punta uno spettatore, un lettore, un vicino sul tram,
e fa quello che pensa possa piacergli, compreso dire cacca cacca
ogni tanto. E poi è Eminem, dice cacca cacca o anche cose
decisamente più vuote, e mezzo mondo si scandalizza e
l'altro mezzo lo nomina genio. E lui si gode tutto quanto, come
Eminem. Probabilmente è un genio davvero, il più
spiritoso di tutti. Uno capace di aprire il suo primo libro per
il maggiore editore italiano in copertina, Diaco con monopattino
- con il seguente paragrafo: "La differenza tra il bisogno
di collettività e l'istinto individualista segna un confine
forte tra due modi di guardare il mondo. Il mio sguardo sul mondo,
lo sguardo del solista, è assolutamente fisico e carnale,
è passionale. Il rapporto che ho col pensiero è
lo stesso che ho con gli oggetti: come sono abituato a violentare
le cose che tocco, così ho l'abitudine di violentare il
pensiero". Le recensioni dei libri quasi sempre non dicono
niente che non spieghi meglio una pagina qualsiasi del libro,
e questa segue la regola. Vado perciò avanti: "La
democrazia a volte mi offre una distribuzione del tempo e delle
opportunità talmente arida da non darmi modo di vivere
questa carnalità e questa passione. I tempi e le occasioni
del solista, il ritmo dell'individualista, viaggiano su passi
asincroni e ispirati. Senza poter garantire direzioni, senza
poterne accettare di prestabilite. Interroga la vita con un sorriso,
la sua partitura è irrimediabilmente per voce sola".
Ecco. Fine del primo dei cento e passa paragrafetti di cui è
fatto il libro. Una cosa che nemmeno i maggiori tromboni della
letteratura italiana contemporanea (non posso dire i nomi
strategia Diaco ma ci siamo capiti), una cosa che dopo
una pagina così uno rimpiange Fahreneit 451 . Per fortuna
sapevo chi era l'autore, (altrimenti avrei maldestramente provocato
un incendio). Un genio, altro che Giuliano da Empoli: questo
è uno che venderà un sacco di copie scrivendo queste
cose, roba che i Sex Pistols erano ragazzini al confronto. Perché
è chiaro che c'è qualcosa di deliberatamente rivoluzionario
nello scrivere un'apertura così. Il secondo paragrafetto,
seconda pagina? Uguale. Giuro. E anche il terzo, non sto scherzando,
e il quarto e così via. Poi finalmente, la tensione filosofica
cala leggermente, ma sono sprazzi. Su Marina del Grande Fratello,
per esempio, rivelazioni inedite: "mi ha confidato di aver
creduto in passato nel PCI, poi in Pannella e alle ultime elezioni
in Forza Italia. Un percorso straordinariamente efficace ed emotivamente
forte". Ma liberatori affiorano infine i nomi propri, diventano
veri elenchi, liste della spesa, cd, libri, oggetti da comprare,
locali da frequentare, film da vedere, viaggi da fare, istruzioni
semplici e utili per chi vuole essere Diaco oggi. E ancora: "Ieri
pomeriggio mi sono intrattenuto a lungo a parlare di fede e cattolicesimo
liberale"; "il bluff Enrico Brizzi"; "Ho
una concessione postidealista della femminilità".
Cose che sono sincero credo di non capire, intuisco
rivolte a qualcuno e qualcosa che non conosco, immagino apprezzate
da legioni di ventenni, affiorano continuamente e mi fanno sentire
incompetente (è che il Diacomondo, a noi trentenni ci
fa bellamente fuori). Ma poi via con i complimenti a tutti gli
italiani nati tra il '10 e il '50, uno per uno ("Montanelli,
quanto gli voglio bene!", "Giuliano Ferrara, che dolce!",
"che donna affascinante, Lidia Ravera!"): la bravura
di Diaco è anche nel riuscire a citarli esattamente tutti,
dal primo all'ultimo, senza dimenticarne uno (un provvidenziale
indice dei nomi permette a ciascuno di verificare immediatamente).
E Diaco non sarebbe un genio se non sapesse sbalordire gli astanti
con una nuova piroetta, anzi due, quando esibisce un rancore
di inatteso ardimento per Carmelo Bene e Dario Fo. Uno schiaffo
al potere. Oplà. E pensare che ha solo 23 anni. |