Internet è un bluff?
Sette indizi per una domanda
Il Foglio, 14 giugno 2000
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Signor direttore,
vorrei coinvolgere il suo giornale in una riflessione che riguarda
due signore questioni, coi tempi che corrono. Una è internet,
l'altra è il comportamento dei mezzi di comunicazione.
Esagero? Non lo escludo, e non lo escluderò ancora nelle
righe che seguono.
Il fatto è che mi occupo di internet da molto tempo, con
grande divertimento e curiosità. A un certo punto ho cominciato
a perdere il filo di qualcosa, e così ho cercato di interrogare
tutti quelli che mi sembrava stessero dietro a quel filo, il
filo dello sfruttamento economico di internet e della rivoluzione
finanziaria che sembra derivarne. Da un certo punto in poi, infatti,
qualsiasi discussione e questione relativa a internet ha cessato
di riferirsi ai suoi contenuti e alle sue tecnologie, ma ha alluso
solo e unicamente ai suoi risvolti economici. Oggi, sui mezzi
di comunicazione, nelle conversazioni sulle prospettive, nelle
opinioni degli esperti e degli inesperti, ci si riferisce a internet
e si parla del business. Di nient'altro.
Sì, di cavi, bande, servizi, portali: ma tutto in funzione
del business. Ormai, anche inconsciamente, non ci si chiede più
quali cambiamenti possa portare uno sviluppo o l'altro della
rete nel funzionamento delle nostre vite e del nostro mondo;
ma cosa cambierà del sistema economico che regola le nostre
vite e il nostro mondo. Sembra la stessa cosa, ma non lo è.
Mi pare.
Allora, la cosa che non capivo era: da dove vengono tutti questi
soldi? Miliardi e decine di miliardi e centinaia di miliardi
di investimenti: in cambio di cosa.? È vero che la finanza
si è sempre retta in buona parte su un'attitudine al bluff,
ma prima, in fondo a meccanismi complessi e sistemi di produzione
macchinosi, un bandolo da cui i soldi rientravano si trovava.
Ma ora?
Ora io penso questo: che internet sia il più grosso bluff
della storia economica del mondo. E il più riuscito bluff
della storia economica del mondo. Si sa che i bluff possono andare
in due modi: qualcuno viene a vedere e il bluff crolla, oppure
nessuno ha il coraggio o elementi sufficienti e il bluff regge
e i soldi gli vanno dietro. A me pare che in internet stia succedendo
questo, e provo a spiegare perché con alcuni indizi che
ho raccolto in giro.
Primo indizio: con internet non si guadagna. Nessuna nuova attività
in rete è in attivo, a meno che non parliamo di attivi
minimi su business minimi. Se aprite un sito per vendere la vostra
bicicletta usata, sul server di un amico, forse la venderete.
Ma direi che nessun business di una certa dimensione creato in
rete porta guadagni a se stesso. Tutti sono sostenuti da altre
entrate o investimenti per ora a fondo perduto.
Secondo indizio: più gli investimenti sono grandi, più
forte è il passivo. Tutti i portali, le grandi società,
gli editori, le aziende di telecomunicazioni non cavano una lira
dai miliardi e miliardi che stanno mettendo nella costruzione
dei loro siti. Né sanno immaginare un modo per cavarcela.
Terzo indizio: al momento attuale nessuno sa indicare in internet
fonti di guadagno diverse dai banner pubblicitari (briciole)
e dall'e-commerce (in Italia, briciole; fuori, tutti comunque
in passivo).
Quarto indizio: tutte le grosse iniziative imprenditoriali in
rete si motivano solo con la crescita del valore delle azioni
in borsa (il bluff per definizione). Per le società già
esistenti che vanno in internet il rapporto è duplice:
ci vanno per non far calare il valore delle loro azioni.
Quinto: no, non solo. Per altri tre motivi, uno più evanescente
dell'altro. Uno, sostenere le loro attività extrainternet.
Due, "creare comunità", assumere dati sugli
utenti con la prospettiva di vendergli qualcosa, che è
il motivo dietro la grande trovata dell'accesso gratuito, al
centro della campagna dello scorso autunno. Che mole di affari
e guadagni possa portare il commercio in rete, come dimostrano
i passivi attuali, è tutto da individuare. Tre, dice un
mio amico esperto: "è come se si fosse trovato un
oceano sconosciuto: nessuno ci ha pescato niente, se non quattro
sardine, ma è così grosso che qualcosa di prezioso
ci deve pur'essere. E così tutti si affannano a buttare
le reti, e a non restare a terra a guardare, ma non sanno neanche
lontanamente cosa vogliono pescare".
Sesto: nessuno dei grossi portali sbarca su internet con un prodotto
degno di questo nome. L'ultima idea vera sono stati i motori
di ricerca. Tutti quelli che buttano cifre enormi nel fare un
nuovo sito e fargli una valanga di pubblicità, non offrono
niente di minimamente innovativo, né competitivo con quello
che già c'è in rete e addirittura con quello che
c'è fuori. Un qualsiasi quotidiano tradizionale ha un
valore in servizi e contenuti dieci volte superiore al più
strombazzato dei portali.
Settimo: chi è dentro a questi business fino al collo
dice tre cose. Che due mesi fa pensava cose del tutto diverse
da quelle che pensa ora. Che non fa nessun tipo di previsione
oltre i prossimi sei mesi al massimo. Che odia internet, se è
sincero.
Questi sono i motivi per cui mi sembra difficile negare che si
tratti di un bluff formidabile. Magari alla prossima mano ci
entrerà un poker servito: ma a questa ci troviamo con
due otto e tre carte da cambiare. E dopo il cambio, ogni giorno
finora, abbiamo sempre due otto. Ma rilanciamo e il piatto cresce.
Ho citato i mezzi di comunicazione, perché mi sembra che
siano parte integrante del bluff, che credo funzionerebbe anche
senza di loro. Io ho dovuto parlare con diverse persone prima
di farmi queste idee: se aspettavo che me lo spiegassero i giornali
ero ancora qui che mi chiedevo come guadagnassero Ciaoweb, Kataweb,
Tiscalinet e compagnia cantante e perché il Corriere della
Sera ha fatto un sito nuovo. Ma forse io e i miei consulenti
siamo quelli che vanno contromano in autostrada convinti che
siano tutti pazzi. Però qualcuno ci avverta, per favore,
e ci insegni a guidare. |