All'anima del commercio

di Luca Sofri

Il Foglio, 31 marzo 2007

Ieri il Times ha ricordato a Martin Sorrell la campagna di Russia, se davvero ama tanto paragonarsi con Napoleone. La piccola campagna di Russia dell'uomo più potente e temuto del mondo della pubblicità mondiale si è conclusa però dentro casa, tre giorni fa, nei corridoi delle austere aule dell'Alta Corte di Giustizia di Londra. E con accenti e ragioni che a prima vista suonano assai meno eroici di quelli dell'Imperatore.
Settlement: questa è la parola. Il padrone di WPP, una delle “big four” dell'advertising mondiale, ha accettato un settlement, un accordo, una transazione, per concludere la causa per diffamazione che lui stesso aveva intentato ai danni di due imprenditori italiani, Marco Benatti e Marco Tinelli. Oppure l'ha ottenuto, questo settlement? Uffici stampa e spin doctors delle due parti lavorano da tre giorni per dimostrare di aver portato a casa una vittoria, ma il commento del Times di ieri ha di fatto chiuso la partita della comunicazione a favore degli italiani, che pure hanno dovuto sborsare dei soldi e firmare una dichiarazione di rammarico per quello che è successo.
E cosa era successo? Qui la storia diventa magnetica e indiscreta anche per il pubblico che di Sorrell e Benatti non immagina minimamente ricchezze e poteri, e a cui importa assai poco dell'altra grande guerra giudiziaria che i due si combatteranno sui modi della loro rottura imprenditoriale. Marco Benatti, che oggi ha 53 anni, reduce da diversi successi imprenditoriali nel mondo della comunicazione, era entrato in rapporti professionali con WPP alla fine del secolo scorso. Nel 2002 ne divenne “country manager” per l'Italia: oggi Sorrell sostiene si trattasse di una consulenza parziale, e che ambizioni di maggior potere spinsero Benatti a comportamenti ed irregolarità che superavano il suo mandato e tradivano la sua fiducia. Morale della favola: nel 2006 Sorrell licenzia Benatti in tronco e piuttosto violentemente, dall'oggi al domani.
C'era dell'altro. Ma lo sapevano solo quelli vicini alla storia o che seguivano i pettegolezzi del mondo pubblcitario, almeno fino alla settimana scorsa, quando il caso passa da bega professionale a vicenda complottarda e boccacesca grazie all'iniziativa legale di Sorrell, iniziativa giudicata oggi dagli osservatori tra l'improvvido e l'inspiegabile.

E qui, il cielo ci protegga dall'ovvio, entra in scena la donna. La donna si chiama Daniela Weber, collaboratrice e braccio destro di Benatti da tempi lontani in tutte le sue avventure professionali. Nella foto pubblicata dal Times la settimana scorsa, scattata mentre entra negli uffici milanesi da cui avrebbe dato testimonianza in videoconferenza al processo, una accigliata e curata signora bionda con occhiali da professionista, dita magre e curate e telefonino d'ordinanza all'orecchio. No auricolare. Tutto quello che in questa settimana si è saputo di lei e Sorrell (che aveva cercato invano di impedire la pubblicazione della sobria foto, ma il Times ha ottenuto il via libera del giudice), si deve alle deposizioni di questi giorni, volute dallo stesso Sorrell e dalla sua causa per diffamazione. E cioè quello che segue. Tra il 2004 e il 2005 nacque una relazione tra Sorrell e la signora Weber (resa pubblica al processo da un testimone che li vide in atteggiamento convincente davanti a Santa Maria delle Grazie, a Milano), che secondo un'altra testimonianza attraversava un periodo di stress e insoddisfazione per l'oscurante presenza di Benatti sulla sua carriera. Questa relazione era in corso quando Sorrell licenziò Benatti, e Weber di fatto prese il suo posto (e si è oggi sciolta, per la cronaca). Alcuni siti di informazione e giornali hanno alluso a una precedente vicenda tra Benatti e Weber, ma i due hanno sempre negato e parlato solo di un'intensa e longeva amicizia dovuta alla collaborazione professionale (i maligni dicono che la sua ignoranza dell'inglese era una ragione della dipendenza di Benatti da Daniela Weber: in aula in questi giorni c'era tutto un giro di traduzioni).
Poco dopo la rottura, in rete compare un blog in cui si definisce Sorrell un boss mafioso, lo si chiama “Don Martino”, e lo si accusa di truffe e illegalità varie. Sorrell ne ottiene la rimozione, ma tempo due mesi ne scopre altri due con contenuti altrettanto aggressivi, e si imbatte in una mail fatta circolare nel mondo della pubblicità che oltre a mostrare un'immagine di Sorrell e Weber “volgarmente offensiva”, secondo le parole dell'accusa, contiene l'espressione che grazie alla pubblica deposizione di Sorrell ha fatto il giro del mondo dei media e dei centri media la settimana scorsa: i due sono definiti “il nano pazzo e la ninfomane schizofrenica” (l'altezza di Sorrell, che ha 62 anni, è in effetti uno dei motivi del paragone con Napoleone).

Ce n'è abbastanza, secondo Sorrell, per immaginare un vendicativo complotto di Benatti e del suo socio italiano Marco Tinelli, e per andare pubblicamente in tribunale: a fronte di prospettive di spese legali sensazionali, gli accusati propongono - con formula rituale nelle cause britanniche di questo tipo - un accordo di rimborso delle spese sostenute finora e di dichiarazione di presa di distanza dalla “campagna”. L'accusa rifiuta. Il dibattimento si apre la settimana scorsa, l'accusa depone, si chiamano i periti, ma il preteso legame tra gli accusati e i documenti online fatica molto a dimostrarsi. Lunedì la seduta sta per riprendere con le deposizioni di Benatti e Tinelli, quando gli avvocati dell'accusa chiedono una sospensione e aprono una trattativa che si conclude con l'accettazione del settlement offerto dalla difesa: nessuna ammisione di colpa, una dichiarazione di rammarico e 120 mila sterline di risarcimento (la legge inglese prevde la bizzarria logica che fa convivere un risarcimento con l'assenza di responsabilità). A fronte di spese legali per Sorrell quantificate in due milioni di sterline, e di un milione per gli imputati. “È scappato”, ha dichiarato Benatti. Sorrell si è detto soddisfatto del riconoscimento che la campagna contro di lui sia uscita comunque da FullSix, la società di Benatti e Tinelli. Adesso sarà il turno dei processi sulla rottura del contratto. Soldi a palate, su cui gli azionisti di WPP stanno cominciando a rumoreggiare con Sorrell: sulle donne, forse staremo più cauti.