"Credo da venticinque anni"

Luca Sofri

Vanity Fair, 16 settembre 2004

“Credo da venticinque anni”. Anche lo stesso Enzo Baldoni non era sicuro di quanto tempo fosse passato da quando aveva cominciato a tradurre Doonesbury, la più importante strip politica americana. Adesso che non c’è più e non ci sono più le sue mille passioni, tra le mille mancanze che lascia c’è anche questa. Chi si impegnerà a restituire in italiano le storie e i dialoghi dei personaggi di Doonesbury, a non tradire il linguaggio di Baldoni che con quelle strisce era sposato “credo da venticinque anni”?
A Linus – dove si pubblica da sempre la striscia di Garry B. Trudeau – non hanno ancora deciso come affrontare la difficile e dolorosa sostituzione. Michele Dalai, il direttore, spiega che Baldoni aveva lasciato diverse tavole già tradotte e pronte per la pubblicazione, che occuperanno ancora il prossimo numero. Lo stesso Trudeau, che di Baldoni era diventato amico, ha disegnato una striscia in cui i suoi personaggi addolorati piangono Enzo, e ha scritto che “nessuno avrebbe saputo capire e rappresentare i miei scritti più fedelmente”.
In America Doonesbury è un’istituzione, non solo un punto fermo dell’informazione e della letteratura. Fuori dall’America è un canale di straordinaria efficacia per capire le cose che succedono laggiù. Nessun fumetto ha mai saputo mettere insieme così a lungo la capacità di far affezionare i lettori ai suoi personaggi e quella di leggere acutamente le vicende sociali e politiche di un paese.
Le sue prime strisce, Trudeau, le pubblicò nel 1968, con il nome di “Bull tales” (traducibile liberamente con “stronzate”) sullo Yale Daily News. C’erano già alcuni dei personaggi che vediamo in Doonesbury ancora oggi. Perché, a differenza dalle altre strips più famose – in cui ogni striscia è indipendente e i personaggi restano quasi sempre immutabili -, Doonesbury ha sì la forma degli sketch brevi delle sit-com, ma è una sorta di soap opera in cui i personaggi crescono, invecchiano, si sposano, si lasciano, fanno figli (muoiono, anche), e le loro storie si sono incrociate, separate e riallacciate mille volte in questi trentasei anni. Se il nucleo originario di personaggi viveva assieme al campus e nella comune universitaria di Walden (Doonesbury è il cognome di Mike, il personaggio “principale”), la vita li ha poi portati su strade e in luoghi diversi e lontani, ma tutti hanno continuato ad essere rappresentati. Accanto a loro, e a volte assieme a loro, sono comparsi tutti i maggiori esponenti della politica americana, e soprattutto i presidenti, raffigurati di volta in volta con simboli che ne disegnavano i difetti più vistosi (il nome di Dan Quayle oggi è inseparabile dalla piuma fluttuante con cui Trudeau lo rimpiazzava). Malgrado le posizioni nettamente liberal di Trudeau e dei suoi personaggi più cari (ma i fans sono affezionati anche al faccendiere senza scrupoli Duke e al maschilista reazionario B.D.), ai presidenti Democratici non sono state risparmiate ironie feroci (Clinton era un waffle, un biscotto). “Per tenersi informati su quel che succede a Washington ci sono i giornali, la tivù, e Doonesbury. E non necessariamente in quest’ordine”, disse una volta il presidente Ford.
Nel 1970 Trudeau viene assoldato dalla Universal Press Syndicate – la maggiore agenzia di cartoonist d’America – e la sua striscia debutta con il nuovo nome di Doonesbury su 28 quotidiani. Ci sono già l’agitatore di sinistra Mark Slackmeyer, il giocatore di football dalle opinioni semplici e tradizionali B.D. (che finirà soldato in Vietnam, e in età matura parteciperà ancora alla guerra in Iraq dove ha perso una gamba qualche mese fa, con grande commozione dei lettori in tutto il mondo), e molti di quelli che Trudeau disegna ancora oggi, in tutt’altre faccende affaccendati. Solo che oggi i giornali americani che le pubblicano sono millequattrocento, e non parliamo del resto del mondo di lingua anglosassone (in Italia, il modo più pratico per seguire quotidianamente la striscia è su internet, o sul quotidiano inglese Guardian; una raccolta intitolata “Flashbacks” è l’unica cosa pubblicata in volume da noi, nel 1997).
Nel 1975 Trudeau vince il premio Pulitzer. Nel 1989 è di nuovo tra i candidati. Ma ormai la sua striscia è molto più famosa e importante del Pulitzer (nel 1984 Trudeau sospese per un anno Doonesbury per scrivere un musical: il parlamento del Wisconsin dichiarò lo stato di emergenza e chiese alla popolazione di restare calma).
In tutto questo tempo Trudeau ha parlato del Vietnam, della Contestazione, del Watergate, della marijuana, del fumo, della guerra del Golfo e di quella in iraq, dell’AIDS, di Monica Lewinski, dei blogs, di tutto quello che è avvenuto in America. Disegnò John Kerry la prima volta nel 1971, e lo fece grande e vacuo imbonitore di se stesso, per darvi un’idea del fiuto. Doonesbury è stato censurato spesso da molti quotidiani, tutte le volte che è arrivato prima di loro a toccare temi delicati e che preoccupavano i benpensanti, si trattasse di sesso, droga o consuetudini sociali. In tutto questo tempo, Enzo Baldoni ne ha riscritto i testi per gli italiani, su Linus. È stata una delle sue molte e diverse passioni, ognuna apparentemente distante ma fatalmente vicina e concatenata alle altre. Come questa: “Andai da Oreste Del Buono perché ero innamorato di un fumettista francese che si chiama Lauzier, e gli dissi: voglio tradurlo, voglio tradurlo, voglio tradurlo. Del Buono mi rispose non se ne parla nemmeno, ho già chi lo fa, ma se vuoi è libero Doonesbury”.