Il relativismo è
relativo
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Mi
è rimasta la curiosità di sapere quanti di quelli
che si sono affannati in questi giorni a disegnare ritratti di
Pim Fortuyn, a domiciliare quello che era avvenuto, a escogitare
termini di riferimento, a dare giudizi da zero a dieci sull'uomo
e sull'omicidio (e gli zero e i dieci fioccano, nei momenti di
eccitazione), mi è rimasta la curiosità di sapere
quanti avessero già sentito il suo nome senza che fosse
stato ancora associato a "ucciso"."Ucciso Pim
Fortuyn": con questo doppio nome Ucciso Pim si è
presentato all'improvviso alle necessità di informazione,
interpretazione, comprensione e chiusura del suo capitolo. Avremmo
potuto arrivarci piano, prepararci un po' per il 15 maggio e
alla vigilia delle elezioni tracciare un ritratto a metà
tra la simpatica macchietta e l'ingranaggio del pericolo fascista,
pronti in caso di vittoria a sviscerare il fenomeno con almeno
una settimanella di studi. Invece niente, si è fatto sparare
subito prima di lasciarsi intervistare: seccante.
Lessi di Pim Fortuyn sull'Economist all'indomani della sua vittoria
a Rotterdam, e nelle settimane successive sulla stampa europea
che aveva ritenuto di occuparsene per tempo. Le due cose più
interessanti mi parvero queste: che il successo politico di un
gay - al contrario di quello che era accaduto a Parigi, a Berlino,
in Norvegia, negli ultimi tempi - potesse già smettere
di coincidere con una vittoria progressista in senso tradizionale.
E che l'argomento personale contro i musulmani potesse essere
indiscutibile e fondato: sono intolleranti e omofobi. Attenzione,
perché l'intolleranza islamista è spesso usata
a sproposito quaggiù per esempio per dire "loro non
consentono chiese a casa loro, perché noi dobbiamo dar
loro moschee a casa nostra?", in un livellamento verso il
basso per cui per affrontare il peggio che c'è bisogna
adeguarsi al peggio che c'è, se non superarlo (argomento
che abbonda sulle bocche, vedi Guantanamo, Genova, eccetera).
Ma Fortuyn poneva il problema di come i musulmani si comportano
non a casa loro, ma a casa sua. Il relativismo culturale comincia
a faticare, o a invertirsi.
Ho continuato a leggere cose su di lui, poi mi sono rassegnato
a non approfondire pensando che senza capire l'olandese non avrei
approfondito più di tanto. Uno così, uno come Fortuyn,
bisogna vederlo, capirlo, sentirlo parlare: non è un'ideologia,
la sua, non è un progetto politico che puoi studiare su
un libro o sugli articoli di giornale. Fortuyn non si spiega
solo con la sua xenofobia, né con le sue denudanti provocazioni,
non si spiega con il suo successo a Rotterdam, né con
i suoi cagnolini, non con la sua omosessualità e non con
la cultura (che era colto, Fortuyn, non è una cosa che
andrebbe dimenticata quando si tracciano paragoni e similitudini).
Ma lo si capisce, un po', con tutte queste cose, cagnolini compresi.
Fortuyn avrei voluto vederlo in televisione.
Ci sono tempi, questi, e persone, Fortuyn, che per capirli devi
vederli in televisione. Certo, anche sedersi in un'osteria friulana
con lui senza cravatta né fazzoletto al taschino sarebbe
stato interessante. Lo è con molti. Ma poteva essere fuorviante:
quasi tutti sono brave persone, dopo un po', quando siete soli
tu e lui. Quel misto di fascino e sgradevolezza poteva essere
tenuto insieme solo dalla costruzione televisiva del suo personaggio.
Chissà com'era, Fortuyn. Non mi basta niente di quello
che ho letto, e resterei col dubbio se alla fine fosse un po'
simpatico o un irritante prepotente. Se non fosse che venire
sparato su un marciapiede e violato da fotografi, telegiornali,
biografi e noialtri commentatori del sabato, leva ogni dubbio
su a chi affidare la propria passeggera tenerezza. |