La storia di due giornali 
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
        
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    Il primo giornale
      è giovane, mensile e inglese. Ha fatto un botto editoriale
      memorabile. Si chiama con una sigla, FHM, che significa For Him
      Magazine, e oggi si pubblica in sedici edizioni in tutto il mondo,
      dalla Francia a Singapore agli Stati Uniti, benché sia
      nato neanche cinque anni fa. FHM è una rivista della categoria
      che in Italia viene genericamente definita dei "maschili",
      in cui si fanno rientrare testate diverse come Max, GQ, Maxim,
      Men's Health. In Inghilterra hanno inventato la definizione di
      "Lads' magazines" per indicare un settore di giovani
      lettori maschi più o meno cazzoni e interessati più
      ai piaceri della carne che non a quelli dello spirito. I primi
      numeri pubblicati in Inghilterra andarono esauriti dopo aver
      stampato quasi un milione di copie. I concorrenti britannici
      si affannarono a stargli dietro, e gli editori internazionali
      si affannarono ad arrivare primi sull'importazione dell'idea
      nel loro paese. L'idea era piuttosto semplice  come dicono
      sempre quelli che non l'hanno avuta, dopo - ma necessitava di
      una spudoratezza estetico-morale di cui gli inglesi sanno essere
      più capaci: dare a un pubblico tra i venti e i trenta
      un mensile che trattasse dei loro interessi veri  sesso,
      birra, calcio videogames musica e cinema, moda un po' volgare,
      eccessi vari  con un linguaggio da pub dopo una cert'ora
      e idee sfacciate, che prevedevano consigli su questa o quella
      impensabile opportunità erotica o illustrazioni macabre
      e del genere "Strano ma vero". Aggiungete sbandate
      coprofile, barzellette sconce e una cospicua dose di ragazze
      molto poco vestite. Grafica moderna e aggressiva. Quelli di FHM
       un gruppo di ragazzotti inglesi vestiti da rappresentanti
      di aspirapolvere e con biliardino in redazione - capirono subito
      di aver prodotto una gallina dalle uova d'oro e destinarono un
      ufficio a trattare con gli editori stranieri per nuove versioni
      della rivista. In Italia ci provò prima Mondadori, che
      mise assieme una redazione giovane e agguerrita sotto la direzione
      di Luca Grandori, direttore elegante e appassionato di macchine
      d'epoca e chalet alpini, a cui non si riuscirono a far digerire
      le bassezze del prodotto inglese. Malgrado le eccitate visite
      dei ragazzotti inglesi a Segrate, non se ne fece niente: troppo
      forte per il pubblico italiano, si decise, con saggezza o con
      senso della vergogna, o con tutte e due le cose. Dopo qualche
      tempo, pensarono di provarci in Rizzoli: a Milano riapparvero
      i soliti ragazzotti inglesi, furono portati nei soliti locali
      a sgavazzare e a elargire consigli e si mise a punto un progetto
      che cercava di mediare gli eccessi di laggiù con i presunti
      gusti di quaggiù. Ma ancora, al momento di quagliare,
      tutto fu sospeso per prudenze economiche e preoccupazioni di
      famiglia. Insomma, quaggiù tutto fermo, ma non è
      escluso che qualcun altro si rimetta in testa di fare FHM, italiano.
      Altrove, come negli Stati Uniti e in Inghilterra, il solco tracciato
      da FHM si va affollando, con riviste come Stuff, Blender e Maxim
      che rincorrono e superano le sue cialtronerie, e gli altri che
      non sanno se opporsi alla corrente o cominciare ad andarle dietro. 
      Poi c'è il secondo giornale, che ha 35 anni ed è
      americano. Un-mito-una-leggenda, a cominciare dal nome: Rolling
      Stone si presentò come la rivista che coniugava per scritto
      le rivoluzioni musicali e quelle sociali e politiche. Nel primo
      numero, John Lennon e questa dichiarazione di intenti: "Abbiamo
      pensato un nuovo giornale che rifletta i cambiamenti nel rock
      and roll e i cambiamenti che sono legati al rock and roll. I
      giornali tradizionali sono diventati inattendibili e inutili,
      e gli specializzati sono anacronistici, pieni di falsi miti e
      fesserie da fans, e quindi speriamo di avere qualcosa per gli
      artisti, per l'industria della musica e per chiunque 'creda nella
      magia che ci libera". Rolling Stone ha raccontato il Vietnam
      e il Watergate: anni e anni da bandiera del fricchettonismo giornalistico
      e dei liberal giovanilisti, grandi autori, da Tom Wolfe a Hunter
      Thompson, da P.J. O'Rourke a David Foster Wallace, politica e
      musica, lunghi pezzi da decine di migliaia di battute. Un oggetto
      di culto, santificato da libri, biografie, e dal film Almost
      Famous di Cameron Crowe, che ne fu giovane cronista. Il primo
      referente per le rockstar e il loro giro. Ritratti di candidati,
      inchieste sui mercati della droga, scoop politici, interviste
      che facevano epoca, come si dice: e tutto intorno il mondo del
      rock quello vero, quello della musica suonata, ancora non affossata
      dal marketing per adolescenti che occupa le classifiche di vendita
      oggi. Ma le cose cominciarono a cambiare, cambiava il mondo,
      quel giornalismo d'assalto non sapeva più chi assaltare
      e i compagni di scuola entravano in banca pure loro. Così,
      da qualche anno, tra le lettere indignate di molti vecchi lettori
      e le vendite che non accennano a risalire, Rolling Stone ha aperto
      le sue copertine alle Anastasia, ai Backstreet Boys e, orrore,
      persino alle Britneyspears. I lunghi pezzi di giornalismo vero
      sono sempre più rari, spesso sostituiti da tristi ritratti
      di campioni del wrestling o di starlette del pop in playback.
      Ma le proteste sono passate presto, e qualcuno si è chiesto
      se i vecchi appassionati della Bibbia del rock, i fans di Springsteen,
      i baby boomers con il surf a prendere polvere in soffitta, non
      se ne siano andati da un pezzo a leggere il New Yorker, Slate
      e Salon. Chi è ancora interessato alla musica, anche negli
      USA, sta più attento ai due ottimi mensili inglesi Q e
      Mojo. Oggi Rolling Stone è alla rincorsa dei lettori giovani,
      armato soltanto del luogo comune che i giovani leggono solo cose
      brevi e superficiali. "Una volta gli amanti del rock si
      occupavano anche di politica", dice Sam Anson, biografo
      del quindicinale, "oggi ai ragazzi interessa la musica,
      punto". 
      Bene, questi sono i due giornali, due opposte idee divenute grande
      successo commerciale, uno presente e uno passato ma che vende
      ancora un milione di copie ogni due settimane. Succede che venti
      giorni fa Jann Wenner, storico editore di Rolling Stone con abbastanza
      pelo sullo stomaco da essersene saputo arricchire, decide di
      fare trentuno e nomina un nuovo direttore, aria fresca: si chiama
      Ed Needham ha 37 anni, è inglese. Fino a oggi dirigeva
      FHM, edizione americana.  |