"Il primo scalpo di
internet"
Luca Sofri
Il Foglio, 21 dicembre 2002
Re:
No Subject
Rock
e altro
Webpensieri
Links
|
"Il primo scalpo di
Internet" è
stato scotennato ieri. Secondo il columnist del New York Post
John Podhoretz, il primato va alla laccata capigliatura del leader
dei repubblicani al Senato americano, Trent Lott. La storia è
su tutti i media americani da dieci giorni, ma su alcuni media
da quindici, e questa è la storia nella storia. Cominciamo
con la prima.
Il 5 dicembre si è
festeggiato il compleanno
del senatore Storm Thurmond. Non un compleanno qualsiasi. Il
centesimo compleanno. Thurmond è una discussa istituzione
del Senato: in cent'anni è stato molte cose, e non tutte
onorevoli. Abbandonò il partito democratico, mezzo secolo
fa, per candidarsi alle Presidenziali con un suo partito segregazionista.
Poi passò ai repubblicani e guidò molte battaglie
reazionarie e contro i diritti civili. Si adeguò un po'
alla volta al mutare dei tempi, invecchiò molto, ruggì
ancora qua e là, e ora è arrivato al centenario,
che non è poco. Quindi, festa di compleanno, con compagni,
amici e presidente Bush in persona. Foto di gruppo, eccetera.
Il senatore Trent Lott, leader parlamentare del partito, prende
la parola e colma di lodi il festeggiato, rammaricandosi in conclusione
che nel 1948 Thurmond non abbia vinto le Presidenziali: "Se
anche il resto del paese lo avesse votato come facemmo noi del
Mississippi, non avremmo avuto tanti problemi in tutti questi
anni". Qualche imbarazzo tra i presenti, qualche commento
tra i giornalisti. Il giorno dopo, il fatto che la maggior carica
parlamentare della maggioranza si sia detto dispiaciuto che un
partito razzista ("tutte le leggi di Washington e le baionette
dell'esercito non basteranno a far entrare i negri nelle nostre
case", diceva allora Thurmond) non abbia vinto le elezioni
mezzo secolo prima viene duramente attaccato. Ma viene duramente
attaccato solo da Josh Marshall, giornalista liberal, collaboratore
di testate online e curatore di Talking Points Memo, uno dei
weblog più seguiti tra quelli che si occupano di politica
(come sanno i lettori del Foglio, un weblog è una sorta
di giornale personale su Internet, misto di commenti e rassegna
stampa). Un canale tv trasmette il discorso, il Washington Post
sottolinea senza enfasi il passaggio imbarazzante, ma giornali
e telegiornali lasciano correre, tanto che Marshall fa passare
un altro giorno e attacca Inside Politics, il programma della
Cnn che ha intervistato Lott senza chiedergli nulla della sua
battuta. Anche The Note, il blog della Abc, aveva contestato
Lott, in fondo a una pagina occupata però quasi per intero
dalle dimissioni del ministro del Tesoro Paul O'Neill. Ma intanto
li stanno seguendo altre firme illustri dei blog americani: a
cominciare da Andrew Sullivan e da David Frum della National
Review, vicini ai repubblicani. I quali chiedono che Lott si
dimetta, per non creare ulteriore imbarazzo e danno al suo partito,
dentro il quale la questione razziale è una ferita chiusa
da poco.
Tra i blogger si scatena
la caccia alle vecchie
dichiarazioni di Lott, ed emergono scheletri: opinioni simili
le aveva espresse già altre volte, quando si oppose all'istituzione
della festa nazionale intitolata a Martin Luther King o quando
difese un regolamento universitario contro la promiscuità
razziale. Messe tutte in fila, si notano di più. Il caso
Lott esplode. A chiedere le sue dimissioni si affrettano più
i suoi compagni di partito, preoccupati del danno, che i suoi
avversari, che si fregano le mani e d'ora in poi lo ritengono
ricattabile politicamente. Bush condanna l'opinione espressa
da Lott, che comincia a scusarsi davanti a ogni telecamera che
trova, ma in modo poco convincente. La sua faccia è sulla
copertina di Newsweek e Time lo demolisce, tra l'altro anche
con un severo attacco di Sullivan. Lui prima non molla ma alla
fine, ieri, si dimette da leader dei repubblicani al Senato.
L'altra storia sta nei riconoscimenti della stampa all'informazione
dei weblog. Il Washington Post: "La stampa sbadigliava,
online la situazione era diversa. Se non vi eravate accorti del
caso politico più importante di questi tempi, è
perché quasi tutti i giornali l'hanno ignorato".
Time: "I giornali hanno commentato solo dopo alcuni giorni:
ma intanto i blogger stavano protestando su Internet". "Non
c'è niente di più bello che guardare un nuovo mezzo
di comunicazione maturare davanti ai nostri occhi", aveva
annunciato Podhoretz nel suo articolo sul primo scalpo di Internet:
"I blog hanno guidato la campagna contro Lott e le sue impressionanti
lodi del segregazionismo. Se Lott si dimetterà, cosa auspicabile,
bisognerà riconoscere questo risultato alla blogosfera".
|