L'ultimo baluardo del pop
intelligente
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Disquisire sul distacco tra
Tony Blair e il suo ex ministro Peter Mandelson, riflettere sul
comportamento omofobo del rapper Eminem immaginandolo gay, farsi
influenzare da T.S. Eliot, collaborare con il fotografo Bruce
Weber e i registi Deerek Jarman e Wolfgang Tilmans, con l'architetto
da copertina Zaha Hadid e l'attore Ian McKellen, mescolare nei
loro scritti "Che Guevara e Debussy", ironizzare sulle
vacuità dello star system, citare lo scrittore Anthony
Trollope: sono solo alcune delle idee che i Pet Shop Boys hanno
associato alla loro produzione artistica. Se si trattasse di
roba concettuale d'avanguardia, installazioni, letture, performances
elitarie, niente di strano: anzi sembrerebbe uno stucchevole
club intellettuale. Ma si dà il caso che i Pet Shop Boys
abbiano condotto con questo stile 18 anni di musica pop da classifica
canzonette, roba ballabile, elettronica - e in particolare
la colonna sonora dei disimpegnati anni Ottanta, che oggi fanno
sbarcare solida e intatta nel nuovo millennio, a dimostrazione
che così evanescente quel periodo non fu.
Esce in questi giorni "Release"
la brevità del titolo è una consuetudine
il nuovo cd del duo inglese che raggiunse il numero uno
alla sua prima uscita, nel 1985, con il singolo "West End
Girls". Neil Tennant, critico musicale, e Chris Lowe, studente
di architettura, dominarono il mondo musicale inglese e internazionale
per dieci anni buoni, mescolando un'abilità inimitata
con i nuovi suoni elettronici a una vena melodica che sfornava
successi su successi. A Milano trovarono allora una scena artistica
e modaiola così emblematica dei tempi da dedicarle una
canzone "Paninaro" il cui verso tormentone
era "Armani, Armani, Armani". Sulle passerelle si suonavano
solo loro e le loro citazioni dei Village People, i loro remix
che associavano gli U2 alla dance anni Settanta, le loro sfrenate
fantasie elettroniche.
Quando gli anni Ottanta finirono, e le altre bands dell'epoca
sparirono, i Pet Shop Boys proseguirono per la loro strada, inventandosi
le collaborazioni sopra citate e tenendosi sempre nelle zone
alte delle classifiche, se non più al primo posto. Adesso,
per l'uscita di "Release", il Guardian li ha definiti
"l'ultimo baluardo del pop intelligente". Hanno abbandonato
i ritmi ballabili per un disco di canzoni, hanno richiamato il
sostegno di una vera chitarra, quella di Johnny Marr degli Smiths,
senza timore di essere fuori tempo e di abbandonare il loro ruolo
di riempipista sempreverdi. La canzone più orecchiabile
"I get along", che lo stesso Tennant ammette
"somiglia un po' agli Oasis, è vero" parla
di amori finiti: "l'idea ci è venuta da questa storia
di Tony Blair che ha dovuto far fuori il suo migliore amico in
politica, il ministro Mandelson, che pareva essere divenuto inaffidabile
ed avergli mentito". In "Birthday boy" "pensavo
a Gesù, che compie gli anni il giorno di Natale"
- si parla delle storie dei giovani gay uccisi dall'intolleranza:
"Anche loro sono morti per i nostri peccati e le loro morti
hanno cambiato le cose". Tennant spiega poi la storia di
"The night I fell in love" con un credito di fiducia
nei confronti di Eminem: "lui dice che non ce l'ha con gli
omosessuali, e che interpreta un personaggio su cui vuole ironizzare:
bene, voglio credergli, e fare lo stesso". La canzone racconta
di un fan di Eminem che dopo un concerto finisce a letto con
il suo idolo. I Pet Shop Boys sono molto critici nei confronti
dei prodotti musicali contemporanei, le boys band o le rockstar
presuntuose, "cantanti da cabaret": "scrivemmo
alcune di queste canzoni l'anno in cui Oasis, Radiohead e Richard
Ashcroft pubblicarono i nuovi cd al grido presuntuoso di "I
big boys sono tornati": alla fine andarono male tutti e
tre".
Diciotto anni e otto cd originali,
più una serie di raccolte e versioni alternative: molti
gruppi figli degli stessi tempi si sono sciolti (Smiths, Duran
Duran, Style Council), altri come gli Everything but the girl
si sono evoluti e riciclati elegantemente. I Pet Shop Boys dimostrano
che si può continuare a fare quello che si è sempre
saputo fare ed essere all'altezza delle nuove tendenze musicali,
anche a costo di qualche alibi meno credibile: come quando, a
proposito del riutilizzo in "Release" dell'attacco
di "West End Girl", si azzardano a sostenere che "abbiamo
sempre ammirato quelli che sanno scrivere diverse canzoni sugli
stessi accordi, quello è vero talento". Non mandano
giù Napster e la musica pirata su internet, perché
gli ha tolto la scelta di quando fare uscire un disco, o di come
organizzare uno show, un'anteprima, "perché è
stato tutto già messo su internet da un giornalista o
da qualcuno della casa discografica, e non puoi farci niente".
"We were never being boring", diceva una loro hit di
dieci anni fa, citando Zelda Fitzgerald: "non siamo mai
stati noiosi". Perché smettere, allora? "Quello
che odio sono le bands che dicono 'Abbiamo voluto lasciare finché
eravamo sulla breccia'", risponde Lowe: "Fesserie.
O ti piace quello che fai, o non ti piace. Neanche fosse una
stupida carriera qualsiasi". L'ultimo baluardo del pop intelligente,
assediato, resiste.
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