Le cose fatte male

Allora, avevo discusso assai di questa cosa nei giorni scorsi, prima di vederla scritta chiaramente. Avevo letto in giro che i candidati del Partito Democratico avrebbero dovuto pagare al partito una cospicua cifra per sostenere la campagna elettorale (chi diceva 50 mila euro, chi 70 mila). La cosa mi pareva un po’ sgradevole, ma avevo incassato anche le obiezioni di chi pragmaticamente mi spiegava che – soprattutto con questa legge elettorale – il partito si accolla un impegno anche economico per farti eleggere, e ti solleva da spese tue (del tutto inutili, se non per i candidati in bilico nelle rare posizioni incerte): ed è quindi giusto che tu partecipi in qualche modo.

“In qualche modo”, però, per me vuol dire una cosa più elastica e trattabile di una clausola nel contratto ufficiale di accettazione della candidatura che i candidati devono firmare: clausola che dice “accettando contribuirò alle spese (…) con il versamento di una quota compresa tra euro 30mila ed euro 50mila (…)”.

Vi dirò che mi suona brutto. Vi dirò che mi suona un po’ ricattatorio. Vi dirò che mi suona un pizzo, comunque lo si motivi. Cosa succede se un candidato dice “no, scusate, io non ce li ho”? O anche “no, scusate, non mi sembra giusto: mica sto comprando un privilegio, sto mettendomi al servizio della comunità”? Che poi magari ci si metterà d’accordo, e magari è solo una formula, e va’ a sapere. Ma proprio per questo, forse si poteva trattare la questione privatamente e singolarmente (Calearo paghi il quadruplo, anche come multa per la sua performance a Ballarò), piuttosto che formalizzare un listino prezzi e attaccare un’etichetta con la cifra da pagare per comprare un’elezione.

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