Due o tre cose su Perugia

Il Post quest’anno ha trasferito la redazione per quattro giorni al festival del giornalismo di Perugia, frequentandone gran parte. Se ne potrebbe raccontare e commentare molto in dettaglio: il successo delle rassegne stampa animate di Zoro e Antonio Sofi (con complicità di Facci, Cruciani, Menichini e altri ancora); l’agitata e spesso anacronistica discussione sulla professione dei giornalisti, domenica; le due cose a cui ho partecipato io (su notizie che non lo erano e fact-checking; e sui giornali online, col capo di Slate che ha da insegnarci molte cose); le ipotesi postberlusconiane di Severgnini e Bill Emmott; il fuggevole passaggio di Makkox; e assai altro ancora in un programma ricchissimo.

Ma la cosa più incoraggiante di quello che si chiama Festival del Giornalismo, è stata la palese evidenza di un cambiamento, continuamente rimosso invece da altre situazioni e occasioni che riguardano informazione, politica o cultura in Italia. Praticamente nessun dibattito si sottraeva ad averlo come protagonista, sia nella forma dell’innovazione tecnologica sia in quella del ricambio nei modi del giornalismo: e non con il solito approccio della vacua discussione sul “futuro” ma trattandolo da contesto presente. E molte delle occasioni più affollate o riuscite (dal “duello” Telese-Cruciani, alla celebrazione del Post con me, Facci, Gomez e Menichini, alle cose di Zoro e Sofi, e altre ancora) avevano per protagonisti – ripeto, con ampio seguito – giornalisti di meno di cinquant’anni: cosa imbarazzantemente rivoluzionaria in Italia, dove le più riverite occasioni di dibattito prevedono ancora che di Italia e informazione parlino delle persone nate prima della fine della guerra e che ne hanno un’idea ancora Novecentesca e superficiale (e si è visto anche a Perugia, quando a persone di quelle generazioni sono state affidate riflessioni sul presente e sul futuro). Mancano ancora le donne, e anche una generazione davvero giovane (stiamo parlando di quarantenni, invece), a questo ricambio: ma sta arrivando.

Un’altra cosa molto apprezzabile del calendario di Perugia è stato il tentativo – che si deve sicuramente accentuare – di costruire degli incontri che avessero un’idea o un’invenzione che andasse oltre al canonico dibattito con ordine degli interventi, o al “giornalista che intervista personaggio”, formule mai superate in tutti i festival culturali in Italia. Qui, a differenza dalla capacità creativa, didattica e spettacolare degli eventi culturali americani (non dico il TED, ma anche gli incontri e “lectures” più comuni), non dedichiamo nessun tempo e nessuna preparazione a costruire un incontro intorno a un senso, affidandone invece l’eventuale riuscita solo alla capacità dei presenti di raccontare le cose che sanno: e non sempre ci riescono. A Perugia ci sono stati invece Cazzullo che narrava la storia d’Italia con accompagnamenti di suoni e luci, Cruciani e Telese che si sfidavano, Zoro e Sofi che costruivano uno spettacolo intorno ai giornali e agli eventi del festival, Emmott e Severgnini che facevano Stanlio e Ollio sul futuro dell’Italia, il monologo di Saviano. Si può fare molto di più, si può pensare di avere delle cose da mostrare, si può “prepararsi”, si può offrire a chi viene a vedere qualcosa di più di se stessi e della propria esperienza, dare a entrambe le cose un montaggio e a se stessi una capacità efficace di narrazione. Vediamo se cominciamo a prenderlo in considerazione.

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9 commenti su “Due o tre cose su Perugia

  1. Pingback: Ijf 2011. Sofri: Due o tre cose su Perugia | T-Mag

  2. Andrea F.

    Perché anacronistica la discussione di domenica? Intendi quella dal titolo “Se 5 euro vi sembran pochi”? Quasi tutti quei giovani giornalisti che hai visto partecipare agli incontri purtroppo lavorano in condizioni di sfruttamento economico inaccettabili. Era importante che se ne parlasse. Mi pare di aver notato che sei uscito dalla sala prima del dibattito finale e degli interventi dal pubblico. Peccato.

  3. stevengal

    la presenza di cruciani è molto più che sufficiente a farmi dire: meno male che non ho assistito; dopo averlo visto all’opera in una sprintosa intervista su Euronews in cui è arrivato 4° su 4 ma con parecchio distacco dal 3° , beh proprio le sue opinioni assai convenzionali e unidirezionali (pro domo sua) lo rendono un interlocutore pochissimo interessante.
    Del tema in generale, poi, sarà molto interessante occuparsi DOPO esserci liberati del nostro vero problema: tusaichi (cfr. Harry Potter 1-7)

  4. Luca

    Andrea, sono uscito dalla sala quando ne ho avuto abbastanza di paternalismo demagogico e autocelebrazione romantica. Se è un lavoro, è un lavoro, e lo si tratta come tale: non come un grande sogno che eleva chiunque vi si avvicini e metta sullo stesso piano chi lo fa bene, chi lo fa male, chi ci si arricchisce con prodotti inutili, chi fatica con invenzioni di qualità, eccetera. Era una messinscena.

  5. francescorocchi

    Da questa descrizione di un evento che, devo dire, non ho seguito granché, mi pare potrebbe nascere qualcosa di interessante a livello scolastico.

    Intendo dire che il modello potrebbe essere imitato per attività scolastiche, sia che questo festival avrebbe molto da dire agli studenti.

    Voi ci avete già pensato a qualche collaborazione del genere?

  6. Andrea F.

    Luca, sul fatto che vada trattato come un lavoro non ci piove. Ma che lavoro è per chi scrive su un quotidiano come Il Gazzettino che paga 4-5 euro un articolo? Io tutto sommato sono fortunato perché il mio giornale mi paga 90 cent a riga e domenica all’incontro mi sentivo un privilegiato. Ma tu credi che chi resta invischiato in questa forma di manovalanza sfruttata tutto sommato se lo meriti? Anch’io ho sempre pensato che se uno ci mette creatività e impegno ce la può fare e può avere la chance di dimostrare qualcosa. Ma sento troppi esempi negativi da colleghi e amici. Non mi sento di gettare la croce su chi fa ormai un lavoro che è diventato umile e nè può vedere uno stipendio decente nè sperare in una pensione. Dopo tutto servono anche i cronisti locali, quelli che seguono la bianca da Settimo Torinese o l’incidente sul lavoro ad Arzignano. Cos’è, questi devono morire di fame perché non si sono inventati un superblog? E l’Ipad con che cavolo di soldi se lo potrebbero comprare? Poi spero tanto, ma ne sono convinto, che i ragazzi che seguivano gli appuntamenti a Perugia non cercassero solo di diventare superstar del giornalismo. Ho sentito tanta passione per la professione che aleggiava nel freddo vento perugino. Mi piacerebbe approfondire la cosa ma so che non è possibile.

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