Notizie che non lo erano

La diocesi di Campobasso ha diffuso un comunicato, una settimana fa, per definire completamente inventata una storia incredibile ripresa da diversi giornali (Mattino, Gazzettino, Messaggero, Sole 24 Ore, tra gli altri) e siti di news: vi si raccontava di una funzione religiosa in una parrocchia molisana in cui erano state distribuite “ostie drogate” con conseguenti “visioni apocalittiche” da parte dei fedeli e scene di indemoniamento con aggressioni al parroco da parte di vecchiette in stato di delirio. Con tanto di nome della chiesa e del parroco, inesistenti: era una balla completa inventata per scherzo di carnevale su una pagina di Facebook, che pochi avevano verificato per quanto suonasse già da subito implausibile.
Martedì quasi tutti i quotidiani avevano in grande evidenza in prima pagina la notizia che gli stipendi degli italiani sarebbero i più bassi d’Europa. Nel corso della giornata l’Istat ha però annunciato che i dati su cui si basava quella notizia erano sbagliati, e la notizia falsa: “Bisogna quindi buttare al macero non solo tutte le tabelle pubblicate ieri e oggi, ma anche il dibattito che era fiorito sul tema”.
Mercoledì l’Avvenire ha pubblicato un editoriale molto severo contro un articolo di una rivista scientifica britannica che riprendeva una tesi sul rapporto tra aborto e infanticidio, come se l’articolo avallasse il secondo: ma – indipendentemente dalle opinioni espresse – l’autore dell’articolo sull’Avvenire, come si capiva dal testo, aveva letto solo le poche righe di riassunto dello studio pubblicate su internet.

 

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4 commenti su “Notizie che non lo erano

  1. davidepessach

    Trovo personalmente questo argomento estremamente interessante.
    La notizia è definita nei manuali di giornalismo “un rapporto su un avvenimento”; dopodiché si parla spesso di come possa prevalere l’una o l’altra parte, l’avvenimento o il rapporto.
    Nel postmoderno la notizia deve avere soprattutto criteri estetici. Come diceva Corrado Guzzanti imitando Feltri “di fronte alla notizia io mi chiedo: è essa bella?”.
    E io la notizia delle vecchiette indemoniate dalle ostie all’LSD l’ho trovata splendida…e non mi sono poi nemmeno tanto chiesto se fosse vera o falsa. Mi è bastato come racconto per immaginare la scenetta e divertirmi al solo pensiero…poi ovviamente l’ho mandata agli amici, e ne abbiamo riso insieme.
    Questo è il medium Internet oggi: commistioni, intermedialità, intrattenimento. E a chi blatera, ahilui, di informazione come strumento della democrazia e altre scempiaggini del genere (sigh), i sostenitori della rete rispondono mandando il video youtube del gatto che litiga col cartone di lattine di birra. 13 milioni di views.
    So long for media culture.

  2. stecol

    In merito alla coda del pezzo copio e incollo la seguente citazione dei due bioeticisti italiani cui l’articolo di Avvenire si riferisce:
    “Sia un feto sia un neonato sono certamente esseri umani e potenziali persone, ma nessuno dei due è “persona” nel senso di un “soggetto di un diritto morale alla vita”.
    Noi chiamiamo persona un individuo che è capace di attribuire alla propria esistenza (almeno) alcuni valori di base come il ritenere una perdita l’essere privati della propria esistenza. Ciò significa che molti animali non umani e individui umani mentalmente ritardati sono persone, ma che tutti gli individui che non sono nelle condizioni di attribuire alcun valore alla propria esistenza non sono persone. L’essere semplicemente un essere umano di per sé non è una ragione per attribuire a qualcuno un diritto alla vita.”
    Non mi sembra che l’articolo di Avvenire abbia inventato una notizia. Infatti molti bioeticisti – il nome piu’ famoso e’ Peter Singer – stanno cercando di far passare tali posizioni filosofiche ed antropologiche.
    Non e’ cosi’ difficile vedere che esse discendono da un generale intendimento della persona come capace di un certo livello di performance. Le pressioni economiche e politiche per arrivare a qualche applicazione di legge di queste idee non pare essere lontano, purtroppo.

  3. stecol

    Mi accorgo di aver mal scritto la parte finale del mio commento. La fretta…

  4. Pingback: Una risposta ad Avvenire | Wittgenstein

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