La frase fatta per cui non si possono condannare le persone per le proprie opinioni, viene spesso abusata ed estesa a coprire vere nefandezze. Distinguendo le opinioni inespresse da quelle espresse, i pensieri dalle parole (ovviamente i primi sono i soli a non essere mai perseguibili, mai: anche i più cretini), è sempre difficile spiegare quali siano le parole lecite e quali no, nella scrittura e nellapplicazione dei codici (che ci siano parole illecite è dimostrato dalla presenza in tutti i codici del mondo di casistiche di reato legate allespressione).
Oggi Sofri, quello anziano – nello spiegare perché sia sbagliato larresto dellorrendo Irving – mette giù dei criteri che mi pare aiutino molto:
Non si ripete a cuor leggero il principio che nessuno debba essere perseguito per le sue opinioni. Le opinioni e le parole in cui si esprimono non sono innocenti dei fatti che possono tener loro dietro. E tuttavia bisogna accettare di fare come se il confine fra le parole e i fatti non fosse labile e ambiguo, ma netto e distinto: sicché la sanzione penale possa intervenire solo contro i fatti, e debba astenersi davanti alle parole. Beninteso, non può essere così quando le parole siano istigazioni dirette al misfatto, dunque non possibili premesse logiche, ma suo pratico fomento. Irving proclama infamie, non aizza ad ammazzare ebrei. Per sottile che appaia, e perfino ipocrita, la distinzione non è meno necessaria. Quando Ahmadinejad proclama che Israele va cancellato dalla faccia della terra, e per sovrappiù non da una cattedra di conferenziere ma quale capo di un grande Stato, la sua non è unopinione, ma senzaltro un crimine
Repubblica
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