Visto da qui

A volte le cose mi sembrano molto più complesse di come vengono sintetizzate in opinioni definitive e certe. Altre volte mi viene da semplificare, perché mi pare che le discussioni si aggroviglino senza sforzi di capire: ma può anche darsi che semplifichi per mia superficialità, e magari questo è uno di quei casi.

Io credo, dopo aver seguito e averci pensato per settimane, che le divergenze più forti tra i sostenitori della mrtrsllbrt e i suoi oppositori si riconducano a una distanza insuperabile e molto semplice: ovvero l’opinione su quando “cominci la vita” nel senso di quando si attribuiscano a un concepito gli stessi diritti di un nato.

Adesso mi spiego meglio, ma prima lo ripeto: credo che la questione stia tutta lì, credo che stia ancora lì e che Giuliano Ferrara non le abbia aggiunto niente, credo sia senza risposta e quindi credo non possa esistere un’obiezione definitiva e vincente da una parte o dall’altra. È come parlare due lingue diverse, abitare in mondi diversi: qualsiasi accordo sarà un compromesso, ma non esiste una realtà comune. È come credere in Dio, o non crederci.

La vita, tra il concepimento e la morte, non conosce che una sola altra tappa netta comune a tutti e scientificamente e biologicamente definita: la nascita. Quindi, se stiamo parlando di idee e definizioni, o si è persone al concepimento o si è persone quando si nasce. Non si è persone al terzo mese esatto, o alla dodicesima settimana in punto, eccetera. E però persino Giuliano Ferrara consente che “in caso di pericolo di vita per la madre” sia lecita una privazione dei diritti di quella eventuale persona che è il feto. Insomma, a fronte di una necessità di regolamentare una situazione decisamente anomala come quella di un soggetto che vive dentro un’altro soggetto, si è cercato un compromesso legale su quando quel soggetto abbia il diritto di non essere eliminato per scelta della madre. Compromesso che è una convenzione, basata su valutazioni scientifiche, ma che non corrisponde esattamente a nessun evento chiaro, né all’opinione di nessuno che la vita diventi persona esattamente in quel momento. Tutti continuiamo a pensare che si nasca quando si nasce (anche le nostre anagrafi), oppure che si nasca quando uno spermatozoo feconda un ovulo.

Bella banalità, vero?

Già. Però a me sembra che se si prende una o l’altra posizione su questo, ne consegua che il discorso di Ferrara (depurato da un’aggressività iniziale da cui lo ha già in gran parte depurato lui stesso, e da qualche fesseria che gli scappa nell’eccitazione di questa sua sventata avventura) abbia una sua coerenza interna, oppure che non abbia alcun senso. Se voi non pensate che il feto sia “una persona” (io per esempio non lo penso: o meglio, penso che sia una cosa a metà strada tra un concepito e un nato, un po’ più di nulla e un po’ meno di un bambino: ogni giorno che passa più il secondo del primo), discutere con Ferrara è del tutto inutile. Le divergenze discendono tutte da lì. E io stesso, se fossi convinto che il feto sia una persona come la altre, definirei di conseguenza l’aborto un omicidio. E io stesso, se pensassi che il feto sia una persona come la altre, riterrei di avere voce in capitolo sulla sua sorte quanta ne ha sua madre. Eccetera.

Gli sciocchi, gli ignoranti, i malintenzionati e i conformisti ci sono sempre, in giro: ma pensare che i sostenitori delle cose proclamate da Ferrara ricadano solo in queste categorie sarebbe da stupidi presuntuosi. E si avvicinerebbe molto all’atteggiamento che Ferrara ha nei confronti di chi invece pensa cose diverse. Il fatto che persone perbene, sensate, e in buona fede, abitino entrambi gli “schieramenti” e convivano con opinioni così distanti si spiega per me solo con questa distanza a monte. Tutto il resto, visto da qui, sono litigi e perdite di tempo: e l’unica cosa su cui vale la pena di lavorare – discutere va bene su tutto, si discute persino sull’esistenza di Dio – è il famoso compromesso sui fatti e le realtà concrete: altro che dichiarazioni di principio e moratorie simboliche su principi e simboli inevitabilmente non condivisi

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