La banalità di Karadzic

Quando ho saputo della cattura di Karadzic era già notte, l’altroieri. Ho esitato a chiamare i miei amici di Sarajevo, è gente che lavora, che ha famiglia, va a dormire presto. Poi ci ho ripensato. Infatti a Sarajevo non dormiva nessuno. “Festeggiavano”, dicono i telegiornali, e mostrano immagini di auto in corteo e ragazzi che saltano nelle strade, come per una vittoria calcistica. Non saprei usare quel verbo, “festeggiare”, e non darei troppo peso a quelle immagini. Proverei a figurarmi altre persone, o quelle stesse al ritorno alle loro case, costrette, dopo il chiasso, a ricordare le mille e una notti trascorse nel lutto nel freddo e nella disperazione, rotte dal fragore continuo delle bombe, strette nel coprifuoco e nel buio. Non darei il nome di festa al sentimento dei cittadini di Sarajevo, non li chiamerei felici o contenti o esultanti. Li immagino ritornati, ciascuno per proprio conto, o abbracciando mogli e mariti, genitori e figli, alle notti nere di tanti anni fa. Con questo sentimento ho accolto anch’io l’arresto, scandalosamente tardivo, di quell’uomo mediocre e ridicolo, con le sue miserabili poesie e il suo certificato di enuresi notturna, la sua cresta vanesia e il suo eloquio da bordello, promosso dalle circostanze e dalla complicità dei potenti del mondo al rango di spaventoso boia. Quello che hanno finalmente arrestato, su un autobus, come si dice, o chissà in quale altro angolo qualunque, è l’uomo ridicolo e mediocre. Le persone di Sarajevo –e di Srebrenica, e della Bosnia martoriata- si sono ricordate, come ogni notte, degli anni in cui il loro ridicolo concittadino, salito dalla valle alle belle montagne che la circondano, era diventato l’impresario di un assedio e una strage senza fine, il ricattatore ricattato dell’altro improvvisato dittatore nazionalcomunista di Belgrado, l’interlocutore in doppiopetto e forfora dei capi di Stato e dei signori delle Nazioni Unite a Ginevra. Dite pure che abbiano “festeggiato”, i sarajevesi e le donne di Srebrenica, purché la festa sia fatta di amarezza e pianto e schifo e nostalgia della morte di quelli che morirono. Così festeggio anch’io la cattura di quel miserabile, e mi auguro che i potenti di turno non cedano di un millimetro prima che Ratko Mladic, il boia colossale, venga preso anche lui, nel cesso di un’osteria, o nell’ambulatorio di un odontotecnico abusivo. Giornata storica, hanno detto ieri. Gente pomposa, che dorme bene. Non hanno ancora pensato abbastanza alla storia, questi dilettanti di maiuscole. I sarajevesi, le donne di Srebrenica, sanno che cos’è la storia, di notte, tardi, prima di riuscire a prendere sonno, e sognare, forse.

(Sofri, quello anziano, sul Foglio di oggi) 

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