Stamattina sul Foglio c’è l’articolo che molti di noi aspettavano da giorni, e l’ha scritto Michele Masneri: svela la grande mistificazione nostalgica che sta avvenendo nel racconto della produzione professionale di Pippo Baudo (con tutto il rispetto eccetera), e si mostra come caso quasi unico di corretta interpretazione del proprio ruolo giornalistico, ovvero raccontare la realtà.
Certo c’è “l’unanime cordoglio”, com’è giusto che sia, nel momento del trapasso, ma oggi, rivedendoci bambini, chi di noi, all’invito genitoriale di “guardiamoci Fantastico!”; o “c’è Domenica In”, non avrebbe proferito una sonora pernacchia e preferito iniziare a farsi di eroina?
Ne aggiungo ancora un paio di citazioni, poi vi consiglio di comprare il Foglio, se appunto volete sapere (o ripassare) cosa fu e cosa non fu – almeno fino alla settimana scorsa – il repertorio del lavoro televisivo di Pippo Baudo e i tempi e i contesti che lo circondavano.
Tutto rivalutato dopo, anche il Sanremo che all’epoca era veramente inconcepibile guardare, non ancora beneficato e risputato dai social come reliquia di modernariato. E poi certo, Baudo poteva essere pure la Dc, però la Dc parlandone da viva non è che fosse tutto questo sexy eccitamento, detto sempre con l’occhio di allora: corrotta, ligia, bigottona, unificante e modellante come una pancera, come la televisione del Nostro. Kitsch come il mollettone sul tavolo sempre pronto ad attutire gli spigoli del reale, con la valletta bionda e la valletta mora (“groundbreaking!” avrebbe detto una Anna Wintour di un immaginario “Diavolo veste Pippo”), col populismo in doppiopetto (“i politici stiano fuori da Sanremo”, detto da uno che un giorno sì e l’altro pure stava con De Mita e Andreotti).
Ma soprattutto eravamo giovani, cazzo. Giovani che per nessun motivo al mondo sarebbero stati in casa a vedere il Sanremo di Pippo Baudo. Non permetteremo a nessuno di dire che il baudismo è stato la più bella età della nostra vita.
E insomma, ha detto tutto Masneri. Io aggiungo solo un’altra cosa: ed è che nel leggere il suo articolo ho vissuto per un momento la sensazione liberatoria e rivelatrice – novanta minuti di applausi – che da decenni associamo alla famosa (e famigerata) scena di Fantozzi sulla Corazzata Kotemkin, che tutti abbiamo presente coi suoi significati (“finalmente qualcuno che lo dice, che questa cosa che stiamo celebrando è una cagata pazzesca”). E ho realizzato allora che, ai tempi di quel Fantozzi, il simbolo della produzione culturale ammirata che tutti celebravano con superficialità conformista – e che mettere in discussione era sovversivo – era un grandissimo film che ha fatto la storia del cinema mondiale: mentre oggi lo stesso sforzo di celebrazione e di proposizione di un modello universalmente apprezzato viene dedicato – dai media, persino dai rimasugli di un élite intellettuale del paese – ai programmi di Pippo Baudo, modello assunto come tale da tutti noi sudditi della narrazione prevalente e autocompiaciuta; e rivoluzionario è invece dire finalmente che no, unici, isolati, coraggiosi persino. Coraggiosi, oggi, è dire che Fantastico e la DC non li abbiamo mai considerati ‘sta meraviglia. Vedi tu come stiamo messi.