Chiamata a raccontare chi fosse per lei Fabrizio Corona, Livia Turco ha candidamente ammesso di non conoscerlo, di non sapere chi fosse. Alla tanto banale quanto ineccepibile replica del fotografo che le ha detto che è difficile che in Italia ci sia qualcuno che non conosca lui e la sua vicenda e che è impossibile che se quel qualcuno esiste faccia addirittura il politico, la Turco non ci ha capito più niente, ha rivendicato e difeso la propria professionalità di conoscitrice di fabbriche, mercati e ospedali, e urlando “ciarpame” s’è alzata e se ne è andata.
Ora, non si tratta di stabilire se sia più meritevole e politicamente importante per il paese conoscere i problemi delle fabbriche rispetto a quelli di Fabrizio Corona, tanto ovvia sarebbe la risposta, bensì di sapere quel che è successo e continua a succedere in questo paese, di capire come mai l’Italia sia diventata così poco attenta a quei luoghi che la Turco avvampando provava ad elencare (e dove spesso, come nelle fabbriche del nord, tira di più il partito di Borghezio di quello della Turco). Se si afferma di ignorare l’esistenza di Corona o di vallettopoli, si dichiara esplicitamente di vivere altrove, di non sapere che purtroppo questo paese è anche e soprattutto il paese di Corona con tutto quel che ne consegue, di non capire, in sostanza, come mai un Papi esista da noi e non sarebbe possibile in nessun altro luogo del mondo. Fare Livia nel paese delle meraviglie al momento è un lusso troppo alto. Anche l’onesto mestierante della politica ha bisogno di rigoroso e costante aggiornamento professionale. Altrimenti si sfigura pure in un salotto con Borghezio, la Santanché e la Gardini.
(dal blog di Zoro)