È una vecchia questione. Ho scritto altre volte che una delle rovine delle nostre civiltà è l’espressione “sii te stesso” con tutto quel che ne deriva (per primo: il fatto che se uno è stronzo, essere se stesso ne esalterà la stronzaggine; ma in ogni caso – poiché nessuno è perfetto – essere se stessi significa non far niente per migliorare e migliorarsi). Non bisogna essere se stessi: bisogna cercare di essere qualcun altro, immaginato o esistente; un modello, inventato o visibile.
Per questa ragione, ammiro molto l’applicazione di alcuni nel mostrarsi migliori di quello che sono, o addirittura nel cercare di esserlo. Di non fare le cose a cui li spingerebbe “l’istinto”, ma di scegliere quelle che ritengono più “giuste”, e di esporle nella forma più equilibrata e intelligente, nascondendo il più possibile le proprie presunzioni, certezze e vanità.
Insomma – malgrado l’autore finga di fare il contrario – ho trovato formidabile l’attacco di Baricco a Citati e Ferroni, su Repubblica di oggi (incollo l’inizio):
“Questo è un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo. Dunque. La scorsa settimana, su queste pagine, esce un articolo di Pietro Citati. Racconta quanto lo ha deliziato mettersi davanti al televisore e vedere i pattinatori-ballerini delle Olimpiadi. Lo deliziava a tal punto – scrive – che «dimenticavo tutto: le noie, le mediocrità, gli errori della mia vita; dimenticavo perfino l’Iliade di Baricco, e la vasta e incomprensibile ottusità dei volti di Roberto Calderoli e di Alfonso Pecoraro Scanio». Io ero lì, innocente, che mi leggevo con piacere l’esercizio di stile sull’argomento del giorno e, trac, mi arriva la coltellata. Va be’, dico. E, giusto per mite rivalsa, lascio l’articolo e vado a leggermi l’Audisio.
Qualche giorno dopo, però, vedo sull’Unità un lungo articolo di Giulio Ferroni sull’ultimo libro di Vassalli. Bene, mi dico. Perché mi interessa sapere cosa fa Vassalli. Malauguratamente, alcuni dei racconti che ha scritto sono sul rapporto tra gli uomini e l’automobile. Mentre leggevo la recensione sentivo che finivamo pericolosamente in area Questa storia (il mio ultimo romanzo, che parla anche di automobili). Con lo stato d’animo dell’agnello a Pasqua vado avanti temendo il peggio. E infatti, puntuale, quel che mi aspettavo arriva. Al termine di una lunghissima frase in cui si tessono (credo giustamente) elogi a Vassalli, arriva una bella parentesi. Neanche una frase, giusto una parentesi. Dice così: «Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell’ultimo Baricco!». E voilà. Con tanto di punto esclamativo.
Ora, nessuno è tenuto a saperlo, ma Citati e Ferroni sono, per il loro curriculum e per altre ragioni per me più imperscrutabili, due dei più alti e autorevoli critici letterari del nostro paese. Sono due mandarini della nostra cultura. Per la cronaca, Citati non ha mai recensito la mia Iliade, e Ferroni non ha mai recensito Questa storia. Il loro alto contributo critico sui miei due ultimi libri è racchiuso nelle due frasette che avete appena letto, seminate a infarcire articoli che non hanno niente a che vedere con me”
Repubblica
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